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La nostra biblioteca - Aramburu - Figli della favola - II nazionalismo basco, crogiolo di speranze e delusioni

- di: Diego Minuti
 
La nostra biblioteca - Aramburu - Figli della favola - II nazionalismo basco, crogiolo di speranze e delusioni
Da quando (era il 2017) lo spagnolo Fernando Aramburu ha fatto il suo deflagrante ingresso sugli scaffali delle librerie italiane, con il suo bellissimo, acclamatissimo nonché vendutissimo ''Patria'', questo scrittore è entrato, a buon diritto, tra le voci migliori della letteratura europea.
Non solo per la sua capacità di andare al cuore delle problematiche dei suoi protagonisti (siano essi imbevuti di nazionalismo, siano vessiliferi della centralità dello Stato spagnolo, siano, infine, semplici spettatori di eventi ben più grandi di loro), quanto perché ha scelto di fare comprendere un fenomeno, quello dell'indipendentismo del popolo basco, che è difficile da capire se non ci si cala nella cultura propria di una fiera popolazione che, a cavallo tra i due confini - spagnolo e francese -, ha sempre fatto dell'orgoglio etnico il solo credo.

La nostra biblioteca - Aramburu - Figli della favola

Ma Aramburu non è, come pure potrebbe sembrare, un ''raccontatore'' di vicende politiche, delle dinamiche, spesso interne a nuclei familiari, che esse generano, ma un perfetto conoscitore dei meccanismi della scrittura che, quale che sia l'argomento che tratta, non dimentica mai di raccontare per gli altri e non per saziare le proprie ambizioni letterarie. Se ''Patria'' raccontava divisioni e antagonismi, se ''I rondoni'' era il ritratto intimistico di un uomo deciso a farla finita e che quindi pronto a raccontare la sua vita di mediocre abitante del pianeta, ''Figli della favola'' (Guanda - pag.320 - 20.00 euro) è la spietata radiografia delle speranze che alimentano due giovani che si preparano per la lotta armata e che sono pronti all'azione nello stesso giorno in cui, per il loro sconcerto e la loro delusione, l'Eta annuncia di deporre le armi, ammettendo che la strada della violenza non porta da nessuna parte, men che meno ad Euskadi.

Asier e Joseba, i protagonisti (loro malgrado, verrebbe da dire) del romanzo, sono l'emblema di quella gioventù che anelando all'indipendenza e credendo che solo con le armi si potesse raggiungere, comincia l'apprendistato per entrare nell'Eta, quella vera, non la traduzione in politica della ''libertà'' dal giogo spagnolo.
Sono giovani, sono convinti, sono ubriachi di ideologia. Sono, insomma, il materiale umano perfetto da cui plasmare il ''nuovo uomo'', capace di tagliare ogni rapporto con il suo passato (quindi la famiglia) per dedicarsi alla causa, anche a costo della vita. A questo Asier e Joseba si preparano, anzi sono pronti, ma, quando la ''missione'' è a portata di mano, arriva la maledetta pace e loro restano lì, nel limbo che divide il loro breve passato, il presente di guerriglieri senza guerriglia, il futuro immerso nell'incertezza.

Due protagonisti di cui è difficile non innamorarsi perché, calati in altre situazioni e in altre epoche, sono l'epitome delle incertezze giovanili. Ma, in questo caso, sono anche le vittime sacrificali di uno scientifico formare il loro cervello e i loro cuori per farne guerrieri. Anche se loro, pronti, ma non si sa più bene per cosa, sono pistole senza pallottole, buone per essere brandite e fare paura, ma senza alcuna prospettiva.
''Figli della favola'' non è semplicemente un buon romanzo, se chi vi si accosta lo fa cercando di immergersi in un momento storico che poco conosce, è invece lo scandaglio che scende nelle profondità dell'animo umano più permeabile, pronto, per impreparazione, ad abbracciare qualsiasi filosofia che lo faccia sentire parte di qualcosa. La drammaticità del tema è però stemperata dal modo lieve, spesso umoristico, che Fernando Aramburu usa per accompagnare passo passo Asier e Joseba, soprattutto quando, con l'arrivo della pace, sono sopraffatti dall'enormità del peso che grava sulle loro spalle, quasi che il mondo là fuori, senza armi e nemici da uccidere, faccia molta più paura di quello violento che avevano sognato.
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