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Atreju, la protesta degli studenti di Medicina e le crepe di una riforma incompiuta

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Atreju, la protesta degli studenti di Medicina e le crepe di una riforma incompiuta

La contestazione esplode nel tardo pomeriggio, ad Atreju, ma non nasce lì. Arriva da mesi di studio, di attese, di regole cambiate in corsa. Quando un gruppo di studenti di Medicina dell’Udu interrompe l’intervento della ministra dell’Università Anna Maria Bernini, alla festa dei giovani di Fratelli d’Italia, porta sul palco una frattura già aperta: quella tra una riforma pensata nei palazzi e una prova di accesso vissuta, giorno dopo giorno, nelle aule universitarie.

Atreju, la protesta degli studenti di Medicina e le crepe di una riforma incompiuta

«Ministra, siamo studenti del semestre filtro». È una frase che dice tutto. Non è uno slogan, non è un attacco politico. È una richiesta di riconoscimento. Quegli studenti sono i primi destinatari della riforma che ha abolito il test d’ingresso tradizionale per Medicina, sostituendolo con un semestre di selezione basato su esami universitari. Un’idea che prometteva più equità e meno lotterie. Nei fatti, secondo chi la attraversa, ha prodotto nuove incertezze.

Dal test secco alla selezione permanente

Il semestre filtro doveva segnare una svolta: basta quiz a crocette, spazio a una valutazione più “vera”, distribuita nel tempo. Ma per migliaia di studenti la selezione non è scomparsa, si è solo dilatata. Non più una prova unica, ma mesi di esami, graduatorie provvisorie, appelli, ripescaggi. Una selezione che pesa di più proprio perché non ha un confine netto.

Il problema, raccontano gli studenti, è che le regole non sono state stabili. Dopo le prove sono arrivate correzioni, interpretazioni, soluzioni tampone. La più contestata è l’apertura della graduatoria anche a chi ha riportato un’insufficienza, con l’obbligo di recuperare i crediti successivamente. Una mossa pensata dal ministero per evitare posti vuoti, ma che per molti certifica una falla strutturale del sistema.

«Se le regole possono cambiare dopo gli esami — spiegano — allora non siamo davanti a una selezione chiara, ma a un meccanismo che si aggiusta su di noi».

Il peso dell’incertezza
Durante la protesta ad Atreju, gli studenti parlano di disagio psicologico. Non come argomento politico, ma come dato di esperienza. «Ci sono ragazzi che stanno male, che sono tornati dallo psicologo», gridano. Il semestre filtro non è solo una prova accademica, è un periodo sospeso: non sei dentro, non sei fuori. Studi senza sapere se quello sforzo produrrà un risultato, né quando arriverà una risposta definitiva.

In questo limbo, perdere un anno non è una possibilità astratta. È un rischio concreto. E pesa soprattutto su chi non può permettersi di riprovare all’infinito, su chi lavora, su chi viene da contesti meno protetti. La riforma che doveva rendere l’accesso più equo rischia, secondo gli studenti, di ampliare le disuguaglianze.

La risposta politica
Dal palco, la reazione della ministra Bernini è durissima. Invita la platea a un applauso ironico e cita Berlusconi: «Siete sempre dei poveri comunisti». Parole che spostano immediatamente il piano dello scontro. Da una critica sul merito della riforma si passa a una contrapposizione identitaria. Gli studenti diventano “contestatori”, il dissenso viene letto come ostilità politica.

Quando la ministra scende tra i ragazzi, il confronto continua, ma il punto di frattura resta. Bernini rivendica gli investimenti sull’università, difende il semestre filtro e parla di «strategia del caos». Gli studenti, dall’altra parte, continuano a chiedere una cosa sola: stabilità. «Non siamo contro la valutazione — spiegano — siamo contro una valutazione che cambia mentre la stiamo affrontando».

Ricorsi e nodi giuridici
Nel frattempo, la protesta esce dalle piazze e arriva nelle aule di tribunale. Alcuni legali preparano ricorsi, sostenendo che non sia possibile modificare i criteri di selezione a prove concluse. Una contestazione che aggiunge un ulteriore livello di incertezza. Anche questo, per gli studenti, è un segnale di debolezza del sistema: se una riforma funziona, non ha bisogno di continue correzioni né di difendersi davanti ai giudici.

Il ministero respinge le accuse, definendo gli interventi necessari e legittimi. Ma il conflitto resta aperto, perché tocca un principio fondamentale: la prevedibilità delle regole.

Una domanda di ascolto
La scena di Atreju, al di là delle frasi a effetto e delle ovazioni, racconta una distanza. Da una parte un’istituzione che rivendica numeri e investimenti. Dall’altra studenti che chiedono di essere considerati non come variabili statistiche, ma come persone coinvolte in una scelta decisiva per il loro futuro.

«Siamo studenti, venga a parlare con gli studenti», gridano. È una richiesta semplice, che va oltre quel pomeriggio romano. Il semestre filtro doveva aprire l’università di Medicina. Per molti, finora, ha solo moltiplicato le soglie da superare. Finché quelle falle resteranno irrisolte, la protesta non sarà rumore di fondo, ma il segnale di una riforma che, almeno per chi la vive, non ha ancora trovato il suo equilibrio.

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