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Banco Bpm riscrive la governance: partita sul cda 2026

- di: Matteo Borrelli
 
Banco Bpm riscrive la governance: partita sul cda 2026
Banco Bpm riscrive la governance: partita sul cda 2026

Nuove regole sulle liste, statuto da aggiornare e un azionista francese sempre più ingombrante: il board entra nella fase “pre-assemblea” con mesi di anticipo.

(Foto: da sinistra il presidente e il ceo di Banco Bpm, Massimo Tononi e Giuseppe Castagna).

C’è un momento, nella vita di una banca quotata, in cui la finanza smette di parlare solo di margini e dividendi e comincia a parlare di sedie, liste, regole del gioco. Per Banco Bpm quel momento è arrivato: in agenda c’è un consiglio “prenatalizio” dedicato a un tema che sembra tecnico ma decide molta sostanza, cioè la governance.

Il punto di partenza è l’adeguamento dello statuto alle novità introdotte dalla Legge Capitali (approvata nel 2024) e rese operative dalla Consob con modifiche al Regolamento Emittenti varate a fine ottobre 2025 e illustrate in un comunicato del 4 novembre 2025. Il punto di arrivo, invece, è già scritto in calendario: assemblea di aprile 2026, quando scadrà l’attuale consiglio e si rinnoverà il board.

La miccia: la “lista del cda” cambia regole

Banco Bpm ha già in statuto la possibilità che il consiglio uscente presenti una propria lista di candidati per il rinnovo del board. Ma la nuova disciplina Consob sull’articolo 147-ter.1 del Testo unico della finanza alza l’asticella: la lista del consiglio, per essere valida, deve rispettare una composizione minima più severa.

La formula è semplice solo in apparenza: i candidati devono essere almeno pari al numero di amministratori da eleggere maggiorato di un terzo. Tradotto: se l’assemblea dovrà eleggere, per esempio, 15 consiglieri, la lista non può essere “asciutta” da 15 nomi, ma deve essere più ampia. È un dettaglio che obbliga i board a prepararsi meglio e prima, perché significa più incastri: competenze, indipendenti, equilibri di genere, comitati.

Il cuore della riforma: seggi, soglie e minoranze

La parte più sensibile non è però la matematica della lista: è il modo in cui si ripartiscono i seggi tra lista del consiglio e liste alternative, soprattutto quando entrano in scena le minoranze. La Consob ha introdotto criteri che tengono insieme due obiettivi: governabilità dell’organo e rappresentanza degli azionisti non allineati.

Due soglie, in particolare, orientano la partita: il 20% (quando le liste di minoranza, considerate complessivamente, arrivano a una quota rilevante di voti) e il 3% (soglia minima per entrare nel riparto in caso di pluralità di liste di minoranza). In scenari di voto “affollati”, queste percentuali diventano una bussola concreta su quante poltrone possano cambiare mano.

È qui che la governance smette di essere un capitolo notarile e diventa un tema da investitori: perché una regola di riparto può incentivare una lista autonoma, una coalizione tra fondi, oppure una strategia attendista che punta a contare i voti all’ultimo minuto.

Il precedente Mps e la “tecnica” che può fare la differenza

Nel settore bancario, la riforma sta costringendo più di un istituto a rimettere mano alle carte. Un caso seguito con attenzione è Mps, dove l’adeguamento delle regole ha richiesto passaggi con le autorità di vigilanza e un percorso societario più articolato, con un confronto con la Bce sulle modifiche statutarie.

Per Banco Bpm, invece, resta sul tavolo una possibilità diversa: che l’aggiornamento possa essere gestito con un intervento meno “pesante”, senza dover necessariamente convocare un’assemblea straordinaria. È una distinzione apparentemente minuta, ma decisiva nei tempi: meno passaggi formali significa più rapidità nel mettere a terra la nuova architettura.

Il convitato di pietra: Crédit Agricole e la soglia psicologica del 20%

Se le regole cambiano, cambia anche il modo di stare al tavolo. E qui entra in scena Crédit Agricole, oggi primo azionista di Banco Bpm. La partecipazione dichiarata è intorno al 19,8%, con una posizione potenziale che può portare la quota aggregata a circa 20,1% grazie a strumenti derivati comunicati al mercato nell’estate 2025.

La banca francese ha ribadito più volte un concetto-chiave: niente controllo e partecipazione mantenuta sotto la soglia che farebbe scattare l’opa obbligatoria. Ma nel mercato conta anche l’effetto “gravità”: quando un azionista cresce, cresce la sua capacità di influenzare le scelte, inclusa la composizione del consiglio.

Il passaggio successivo è legato alle autorizzazioni di vigilanza: Crédit Agricole ha avviato l’iter per ottenere il via libera a salire oltre il 20% fino a livelli ben più alti (il target citato dagli operatori è 29,9%), restando comunque sotto la soglia d’opa. Secondo ricostruzioni di mercato, la procedura può richiedere mesi e arrivare a un punto di svolta a cavallo tra fine 2025 e inizio 2026.

Quanti consiglieri “francesi” nel board? Rumor, smentite e diplomazia

Oggi Crédit Agricole esprime nel consiglio di Banco Bpm due componenti, entrati quando la quota era molto più bassa rispetto a quella attuale. Ed è proprio qui che si accende il dibattito: con un azionista vicino al 20% (o oltre, in potenza), è naturale che il mercato si chieda se chiederà più rappresentanza nel rinnovo 2026.

L’amministratore delegato Giuseppe Castagna, ascoltato in Senato l’11 dicembre 2025 dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario, ha tagliato corto sui rumors di pressioni per aumentare i posti in consiglio: non risultano richieste formali. E ha aggiunto un elemento che pesa come un macigno: a oggi, per quanto gli risulta, non è stata manifestata alcuna volontà di acquisizione, né alla vigilanza né alla banca.

Da parte sua, Crédit Agricole mantiene una linea prudente: poche parole, messaggio stabile (“non puntiamo al controllo”), e massima attenzione ai passaggi autorizzativi. È la diplomazia tipica di chi vuole contare senza far scattare allarmi.

Fondazioni e casse: il “terzo blocco” che può spostare voti

In queste partite, non esistono solo i grandi soci: esiste anche la somma delle quote che, in assemblea, diventano una forza se si muovono insieme. Nel perimetro di Banco Bpm gli operatori guardano alle fondazioni e alle casse riunite in accordi parasociali: un’area che, in caso di voto contendibile, può diventare l’ago della bilancia tra lista del consiglio, liste di minoranza e iniziative dell’azionista di riferimento.

È probabile che le interlocuzioni più vere si aprano dopo le festività, quando la “temperatura” politica e societaria risale e le regole vengono tradotte in nomi, profili e incastri.

Perché questo cantiere conta davvero

Il tema non è solo chi siederà attorno a un tavolo nel 2026. Il tema è che tipo di banca vuole essere Banco Bpm mentre il risiko bancario italiano resta acceso. Una governance più “blindata” a favore della stabilità? Una governance più aperta alle minoranze? Un board che rifletta l’azionariato aggiornato, con un socio francese vicino a quota 20%?

In controluce c’è anche una questione di reputazione e mercato: un percorso lineare, trasparente e conforme alle nuove regole Consob tende a ridurre il rischio di contenziosi e tensioni assembleari. Al contrario, ogni incertezza su statuto, liste e riparti rischia di trasformare l’assemblea 2026 in un festival dei ricorsi.

Insomma: il consiglio “prenatalizio” può sembrare un passaggio di routine, ma è il primo atto di una stagione in cui la finanza parlerà di governance con lo stesso tono con cui parla di utili. E quando succede, di solito, significa che la partita è già cominciata.

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