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Bankitalia sotto pressione, chi difende le autorità indipendenti

- di: Bruno Coletta
 
Bankitalia sotto pressione, chi difende le autorità indipendenti
L’autonomia di via Nazionale alla prova della stagione panpolitica.

La politica torna a bussare con insistenza alla porta delle autorità indipendenti, Banca d’Italia in testa. A Firenze, nella sede di via dell’Oriuolo, un convegno dedicato all’autonomia della Banca d’Italia tra politica ed economia ha offerto la scena perfetta per fotografare una tendenza che non riguarda solo Roma, ma buona parte delle democrazie occidentali: l’idea che ogni decisione, anche la più tecnica, debba piegarsi al ciclo elettorale e agli umori del giorno.

Davanti a giuristi, economisti, banchieri e studenti, sono intervenuti Giuliano Amato, presidente emerito della Corte costituzionale ed ex presidente del Consiglio, Antonio Patuelli, numero uno dell’Associazione bancaria italiana, e il direttore generale di Bankitalia Luigi Federico Signorini, insieme ai rappresentanti della Fondazione dedicata a Giovanni Spadolini, a cui era intitolata l’iniziativa per il centenario della nascita dello statista fiorentino.

Il filo rosso è stato chiaro fin dalle prime battute: l’indipendenza non è un vezzo tecnocratico, ma un pezzo essenziale dell’architettura democratica, soprattutto quando si parla di moneta, vigilanza bancaria, antitrust, regolazione dei mercati.

Amato: la tentazione di piegare i tecnici ai sondaggi

Giuliano Amato ha parlato di una vera e propria “stagione panpolitica”, in cui il confine tra decisione tecnica e decisione politica si fa sempre più sfumato. Il bersaglio, nemmeno troppo implicito, sono i tentativi dei governi di influenzare chi, per mandato, dovrebbe restare alla massima distanza possibile da cicli elettorali e interessi di parte.

“Ci sono funzioni pubbliche che, pur avendo un contenuto amministrativo, devono essere sottratte alle oscillazioni dell’indirizzo politico e alle preferenze dettate più dai sondaggi che dalle scelte di lungo periodo”, ha osservato Amato, richiamando quell’area delicatissima che va dalla politica monetaria alla vigilanza finanziaria.

L’ex premier ha ricordato che l’indipendenza delle banche centrali è diventata uno scudo fragile proprio nel momento in cui le politiche monetarie sono finite al centro del dibattito pubblico: tassi d’interesse, inflazione, costo dei mutui sono oggi argomenti da talk show, non più materia per addetti ai lavori. In questo clima, ha ammonito, cresce l’insofferenza verso le autorità che non “assecondano” le richieste dei governi, in particolare quando si chiede di abbassare i tassi o allentare la vigilanza per dare ossigeno a banche e imprese.

Amato ha evocato il caso delle pressioni sui banchieri centrali da parte di capi di Stato e di governo, ricordando come “se un cittadino si lamenta dei tassi alti è fisiologico, ma quando a farlo è il leader della prima potenza mondiale il segnale che arriva ai mercati e alle istituzioni è ben diverso”. Il riferimento, neanche troppo nascosto, è al ripetersi, negli ultimi anni, di attacchi pubblici alle banche centrali da parte di leader che puntano a politicizzare le decisioni su tassi e acquisti di titoli.

Il messaggio di Amato è netto: i confini fra politica e autorità indipendenti sono stati ritagliati nel tempo proprio per evitare che la “febbre” del consenso immediato travolga la tenuta dell’economia nel medio periodo. Quando quei confini vengono messi in discussione, è l’intero sistema a perdere credibilità.

Patuelli: nomine spezzettate, autonomia a rischio

Se Amato ha fotografato il clima politico generale, Antonio Patuelli ha acceso i riflettori su un punto molto concreto: le procedure di nomina dei vertici delle autorità indipendenti. Qui, più che la teoria, parla la pratica.

“Negli ultimi decenni abbiamo visto nascere e moltiplicarsi autorità indipendenti su moltissime materie, ma oggi l’influenza politica sulle loro nomine è evidente”, ha sottolineato il presidente dell’Abi, facendo notare come i componenti di questi organismi vengano spesso percepiti come “targati”, avvicinati all’uno o all’altro schieramento.

Il problema, ha spiegato Patuelli, non è l’esistenza di un controllo democratico – inevitabile e necessario – ma l’assenza di un metodo coerente e trasparente. In Italia, infatti, le nomine vengono effettuate con modalità diverse: alcune sono affidate al governo, altre ai presidenti delle Camere, altre ancora a procedure miste. Il risultato è un mosaico disomogeneo, dove la percezione di “lottizzazione” pesa sulla reputazione delle authority e alimenta il sospetto che le decisioni possano essere condizionate dagli equilibri di maggioranza.

“Per rendere davvero autonome e indipendenti queste autorità occorrerebbe una razionalizzazione forte, con un’unica procedura e una garanzia altrettanto unitaria di indipendenza”, ha proposto Patuelli, suggerendo di fissare in modo più rigido criteri, tempi e organi competenti per le nomine. In gioco non c’è solo la forma: la credibilità delle decisioni regolatorie dipende anche dall’idea che i vertici siano al riparo dal cambio di colore dei governi.

Signorini: la fiducia nella moneta come bene politico

Il direttore generale di Bankitalia, Luigi Federico Signorini, ha collegato il tema dell’autonomia alla natura stessa della moneta nell’economia contemporanea. In un sistema in cui il valore della valuta è fondato soprattutto sulla fiducia di chi la utilizza, ha ricordato, l’indipendenza della banca centrale è lo strumento per proteggere quella fiducia, non un privilegio corporativo.

Signorini ha richiamato l’esperienza di Giovanni Spadolini, sottolineando come lo statista fiorentino avesse compreso che la tutela dell’autonomia della banca centrale non si riduce alla difesa di un’élite di tecnici, ma riguarda la stabilità dell’intero sistema economico e sociale. In altre parole, se i cittadini cominciano a sospettare che le decisioni sui tassi o sulla liquidità siano prese per compiacere un governo anziché per tenere sotto controllo l’inflazione, la conseguenza è una perdita di fiducia che può trasformarsi in instabilità finanziaria.

“L’autonomia deve poggiare su norme robuste e su prassi coerenti”, ha insistito il direttore generale, ricordando che la tentazione di sottomettere la politica monetaria ad altri obiettivi – dalla crescita a breve termine al sostegno di specifici settori – è costante. Ma ogni volta che si indebolisce il presidio dell’indipendenza, il prezzo da pagare rischia di manifestarsi più tardi, sotto forma di inflazione fuori controllo, crisi di fiducia nei titoli di Stato, fughe di capitali.

Signorini ha aggiunto che l’indipendenza non esonera i banchieri centrali dalla responsabilità: al contrario, li obbliga a esercitare i propri poteri con prudenza, a correggere la rotta quando i dati cambiano, a spiegare con trasparenza le proprie decisioni. Un equilibrio delicato, che Spadolini avrebbe definito “virtù civica” e che oggi chiamiamo semplicemente accountability, rendicontazione verso i cittadini.

Italia e authority: un sistema sotto osservazione

Il dibattito fiorentino si inserisce in un contesto più ampio, in cui il ruolo delle autorità amministrative indipendenti è al centro delle polemiche politiche. Negli ultimi anni, diverse inchieste giornalistiche hanno documentato il peso della politica nelle nomine ai vertici di organismi come l’Autorità per l’energia, l’Agcom, la Consob o l’Agenzia per l’Italia digitale, evidenziando rapporti di vicinanza con singoli partiti o coalizioni di governo.

Non si tratta di episodi isolati. A partire dagli anni Novanta, la crescita delle authority è stata la risposta a una duplice esigenza: regolare mercati sempre più complessi e, al tempo stesso, tenere alcune scelte cruciali al riparo dal ciclo politico. Nel campo finanziario, ad esempio, la Banca d’Italia ha visto rafforzare i propri poteri di vigilanza prima sulle banche e poi, progressivamente, su altri segmenti del mercato, in parallelo con il processo di integrazione europea.

Tuttavia, la logica delle nomine continua a risentire della cultura della “spartizione” tra maggioranza e opposizione, con il risultato che la percezione di indipendenza rischia di incrinarsi. Quando la politica utilizza le authority come terreno di compensazione tra alleati o come premio per fedeli di partito, il messaggio inviato ai cittadini è diametralmente opposto a quello che servirebbe per consolidarne il prestigio.

Il caso della Banca d’Italia è parzialmente diverso, perché i vincoli europei e i Trattati rendono l’indipendenza della banca centrale un obbligo non solo interno ma sovranazionale. Ma anche qui il clima politico conta: attacchi pubblici, polemiche sui tassi, sospetti di “governo dei tecnici” contribuiscono a logorare la fiducia, alimentando l’idea che i banchieri centrali rispondano a logiche estranee alla volontà popolare.

Quando la politica entra nella sala dei bottoni

Il nodo, in definitiva, è capire quanto spazio concedere alla politica nelle scelte che richiedono competenza specialistica e orizzonte di lungo periodo. Le autorità indipendenti nascono proprio per ritagliare una zona di autonomia in cui le decisioni siano prese sulla base di analisi, dati e regolamenti, non di slogan o sondaggi.

Questo non significa costruire una “repubblica dei tecnici” che sostituisce la democrazia rappresentativa: il mandato delle autorità, i loro poteri, i loro limiti sono e restano definiti dal Parlamento. Ma una volta definite le regole del gioco, interferenze continue e pressioni dirette sui singoli dossier rischiano di svuotare di senso l’idea stessa di indipendenza.

La crisi finanziaria globale, la stagione dei tassi zero, la pandemia, le tensioni geopolitiche e l’ascesa di leadership fortemente personalizzate hanno spinto le banche centrali al centro del palcoscenico, trasformando i governatori in protagonisti mediatici. È in questa cornice che le parole pronunciate a Firenze assumono peso: senza un presidio forte sull’autonomia, le decisioni monetarie e di vigilanza diventano terreno di scontro politico quotidiano, con il rischio di rendere meno prevedibili e credibili le traiettorie di politica economica.

La lezione di Spadolini per l’Italia di oggi

Che il convegno sia stato legato al centenario di Giovanni Spadolini non è un dettaglio simbolico. Il leader repubblicano, giornalista e storico, difese con forza l’idea che l’autonomia delle istituzioni economiche fosse un pezzo della qualità democratica, non un vincolo alla sovranità popolare. Il ricordo di quella stagione torna oggi mentre il pendolo sembra oscillare di nuovo verso la politicizzazione totale del dibattito pubblico.

La domanda posta a Firenze è, in fondo, molto semplice: siamo disposti a sacrificare l’indipendenza delle autorità sull’altare del consenso immediato? Amato mette in guardia dalla “stagione panpolitica”, Patuelli invita a mettere ordine nelle nomine, Signorini ricorda che senza fiducia nella moneta non c’è stabilità possibile. Tre voci diverse, unite da un punto fermo: l’autonomia delle istituzioni non è un lusso, ma una condizione per far funzionare il mercato, proteggere i risparmiatori e tenere insieme i conti della democrazia.

La politica potrà scegliere se leggere questo allarme come l’ennesimo richiamo dei “tecnici” o come l’occasione per ripensare regole, prassi e linguaggi. Di certo, se la pressione sulle autorità indipendenti continuerà a crescere, non saranno solo i giuristi e gli economisti a pagarne il prezzo: saranno famiglie, imprese e lavoratori a misurare sulla propria pelle cosa significa vivere in un sistema dove ogni decisione, anche la più delicata, dipende dall’hashtag del giorno.


 
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