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Dopo il trionfo, il centrodestra deve sapere governare la vittoria elettorale

- di: Redazione
 
Dopo il trionfo, il centrodestra deve sapere governare la vittoria elettorale
La faccia sorridente di Matteo Salvini, che celebra il trionfo in Lombardia di Attilio Fontana, è l'immagine più aderente al processo politico che l'esito delle regionali ha aperto e che non è necessariamente detto che vada avanti nell'accordo di tutti i vincitori. Perché, pur se, in un certo senso, non poteva fare altro che celebrare Fontana come simbolo del buongoverno a trazione leghista, Salvini ha la piena consapevolezza che il suo partito non è più egemone in Lombardia.

Dopo il trionfo, il centrodestra deve sapere governare la vittoria elettorale

Resta importante, ma d'ora in avanti la Lega dovrà governare sapendo che la golden share della giunta regionale non è più nelle sue mani, ma saldamente sotto il controllo di Fratelli d'Italia. Cosa questo possa significare, traducendolo nella gestione quotidiana della macchina regionale, è ancora difficile da ipotizzare, tenendo conto che Giorgia Meloni deve anche dare risposte ai suoi che in Lombardia hanno consentito a Fratelli d'Italia di diventare il partito più importante e che certo non si accontenteranno di fare da valletti a Fontana e, soprattutto, assistere agli show televisivi di Salvini. Per questo quella di Fontana, che resta un successo personale, è una vittoria incompleta, che avrà pure il momento del trionfo, ma che, quando si tratterà di decidere percentuali e qualità dei posti in giunta, dovrà fare i conti con le richieste di Fratelli d'Italia, che non saranno certo di basso profilo.

Per come è giusto che sia perché, a conti fatti, il partito di Giorgia Meloni ha vinto il confronto con gli alleati, forse non stravincere, ma di certo ha posto le basi per una posizione dominante, se non egemonica, nella futura giunta, in un assemblea regionale in cui non ci sarà Letizia Moratti (che non ha toccato la soglia del 10%) a fare parte di una opposizione che dovrà rassegnarsi ad una altra legislatura sulle barricate. Nel Lazio, con Francesco Rocca a staccare di oltre venti punti l'assessore regionale uscente D'Amato, la situazione è diversa perché il futuro presidente e la coalizione che guida avranno vita facile in consiglio regionale, visto che l'opposizione è divisa, tanto che, nonostante la batosta, preferiscono accusarsi l'un l'altro, beccandosi come i capponi di Renzo, senza avere il coraggio e la forza di avviare una necessaria autocritica. Rocca, a differenza di Fontana, non deve temere agguati o dispetti dagli altri partiti della coalizione per il banalissimo motivo che Fratelli d'Italia ha fatto il pieno di voti, relegando gli alleati ad un ruolo da comprimari.

Certo, qualche exploit Lega e Forza Italia possono averlo anche ottenuto, ma è ben poca cosa rispetto al rullo compressore di Fratelli d'Italia, che farà da calamita per i posti più importanti. Il prossimo presidente ha detto che la sua priorità è la sanità pubblica, settore che conosce benissimo e che potrebbe volere gestire direttamente tenendo per sé la relativa delega. Ma questo potrebbe essere un piccolissimo errore, pur se ne si comprende nettamente la genesi, perché se la sanità è importante (soprattutto agli occhi di Rocca), ci sono altri problemi che non possono essere messi in secondo piano. Il più evidente dei quali è il rapporto tra la Regione Lazio e Roma, che è città, ma anche capitale. Risolvere le problematiche che strangolano Roma (dal traffico al ciclo dei rifiuti, tanto per citarne solo un paio) è un processo che deve vedere coinvolta la Regione, non come riferimento, ma come compartecipe delle decisioni. Né si può pensare che Rocca non collabori con Gualtieri per meri interessi di bottega, lavorando sotto sotto per un ribaltone al Campidoglio alla fine dell'attuale sindacatura. Un orizzonte troppo lontano per mettere in atto una strategia di logoramento che potrebbe essere controproducente per un Francesco Rocca che non sarà un presidente politico, ma d'azione.
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