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Clima estremo, l’Italia paga il conto: nel 2025 più eventi meteo e danni crescenti all’economia

- di: Anna Montanari
 
Clima estremo, l’Italia paga il conto: nel 2025 più eventi meteo e danni crescenti all’economia

Il 2025 si chiude con un dato che non è più episodico ma strutturale: l'aumento degli eventi meteo estremi lungo tutta la Penisola. Gli allagamenti da piogge intense arrivano a 139 casi, i danni da vento a 86, le esondazioni fluviali a 37. Non è una sommatoria di incidenti locali, ma una pressione continua che ridisegna la mappa del rischio e incide direttamente sui costi pubblici e privati.

Clima estremo, l’Italia paga il conto: nel 2025 più eventi meteo e danni crescenti all’economia

Il fenomeno non risparmia nessuna area. Genova guida la classifica urbana con 12 eventi estremi, seguita da Milano e Palermo con 7 ciascuna. A livello regionale il primato spetta alla Lombardia con 50 casi, davanti a Sicilia (45) e Toscana (41). Scendendo nel dettaglio provinciale, Genova arriva a 16 episodi, Messina e Torino a 12, Firenze e Treviso a 11, Milano a 10. È una distribuzione che racconta come il rischio non sia più confinato alle aree tradizionalmente fragili, ma attraversi città industriali, portuali e turistiche.

Trasporti sotto stress, il costo nascosto
Uno dei capitoli più sensibili è quello delle infrastrutture. Nel 2025 sono stati 24 gli episodi che hanno causato danni e ritardi ai treni e al trasporto pubblico locale. Le interruzioni non derivano solo da piogge e frane, ma anche da temperature record e raffiche di vento. Ogni stop genera un effetto a catena: ore lavorative perse, costi per le aziende, disservizi per pendolari e turismo. Un impatto economico che raramente entra nei bilanci ufficiali, ma che pesa sulla competitività del Paese.

Adattamento assente, la critica di Legambiente
Secondo Legambiente, l'Italia continua a scontare un approccio frammentato. Le azioni di adattamento restano sporadiche, non coordinate, private di una visione multisettoriale e multilivello. Il risultato è una gestione per emergenze successive, che costa di più e rende meno. La Penisola corre dietro agli eventi invece di anticiparli, con un prezzo crescente per cittadini e imprese.

Il Pnacc fermo e il nodo delle risorse
Al centro delle critiche c'è il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, approvato a fine 2023 ma ancora senza le risorse necessarie per diventare operativo. Le misure previste sono 361, distribuite su scala nazionale e regionale, ma senza finanziamenti restano sulla carta. La mancata attuazione rallenta anche la redazione dei piani locali di adattamento, creando un vuoto che si riflette direttamente sul territorio.

Governance climatica, l'anello mancante
Un altro punto chiave è l'assenza dell'Osservatorio nazionale per l'adattamento ai cambiamenti climatici. Legambiente chiede che venga istituito con decreto, coinvolgendo Regioni ed enti locali per individuare priorità territoriali e settoriali e monitorare l'efficacia delle azioni. Senza una cabina di regia, le risposte restano disomogenee e spesso inefficaci.

L'impatto su imprese e crescita
La crisi climatica non è più solo una questione ambientale, ma economica. Danni a infrastrutture, interruzioni produttive, aumento dei costi assicurativi e incertezza sugli investimenti che incidono sulla crescita. A pagare sono le imprese più esposte, le filiere logistiche ei territori che vivono di turismo. Il rischio è che l'Italia continui a spendere in riparazioni invece che in prevenzione, con un saldo negativo nel medio periodo.

L'appello alla politica
«Ancora una volta l'Italia si è fatta trovare impreparata», denuncia il presidente di Legambiente Stefano Ciafani. La crisi climatica è una realtà consolidata e continuare a rincorrere le emergenze significa trasferire il costo sulle generazioni future. La richiesta al governo è netta: portare il clima al centro dell'agenda politica, passare dalla gestione del danno a una strategia di mitigazione, adattamento e prevenzione capace di ridurre rischi e perdite economiche.

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