Dal 2026 il fisco italiano mette una taglia minima alle partecipazioni che vogliono accedere ai regimi di favore su dividendi e capital gain.
Tradotto: l’esclusione (totale o parziale) non è più “automatica”, ma diventa una corsia riservata a chi supera una soglia di rilevanza economica.
La novità, incardinata nel percorso della Legge di Bilancio 2026, ha due parole chiave: partecipazioni significative e riallineamento.
Significative perché il legislatore pretende una dimensione minima; riallineamento perché, per evitare cortocircuiti, la stessa logica viene estesa anche alla Pex sulle plusvalenze (la Pex è una norma fiscale che consente alle imprese di escludere quasi totalmente dalla tassazione le plusvalenze realizzate dalla vendita di partecipazioni societarie).
La regola nuova: 5% oppure 500mila euro
Il cuore della stretta (con paracadute) è qui: l’accesso all’esclusione sui dividendi si aggancia a una doppia soglia alternativa.
In sostanza, per “qualificarsi” serve almeno il 5% del capitale della partecipata oppure un valore fiscale della partecipazione di almeno 500.000 euro.
In più, entra in scena un dettaglio che farà discutere consulenti e gruppi: ai fini del 5% si guarda anche alle quote detenute indirettamente nel gruppo,
con l’effetto di demoltiplicazione lungo la catena di controllo (quindi non sempre “sommo e via”: conta come si arriva a quel numero).
"Partecipazione diretta nel capitale non inferiore al 5 per cento o di valore fiscale non inferiore a 500 mila euro"
Chi riguarda: Ires, Irpef “in impresa” e società di persone
Il punto non è solo chi incassa il dividendo, ma anche con quale regime. Nel linguaggio corrente si parla spesso di “esclusione del 95%”
per i soggetti Ires, ma la mappa è più ampia:
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Soggetti Ires: in via ordinaria i dividendi concorrono al reddito solo per una quota residuale (il meccanismo noto come “imponibile al 5%”).
Dal 2026 questa corsia si attiva solo se la partecipazione supera la soglia “significativa”.
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Società di persone e imprenditori Irpef: qui la logica è quella delle percentuali storiche di concorso/esclusione (che nel tempo sono cambiate).
Nel dibattito sulla manovra 2026 la questione viene ricondotta alla stessa idea: il beneficio pieno si aggancia alla dimensione della partecipazione.
Occhio a un equivoco frequente: le percentuali “storiche” (come 60%, 50,28%, 41,86%) sono figlie di diverse fasi normative
e si collegano alla formazione degli utili e ai periodi d’imposta. La manovra 2026 non nasce per riscrivere tutta la storia,
ma per imporre una porta d’ingresso unica basata sulla significatività.
Perché il legislatore lo fa: coerenza (e gettito) più che ideologia
Dietro la scelta c’è un ragionamento “da cassetta degli attrezzi”: evitare che micro-partecipazioni possano beneficiare di regimi disegnati per investimenti
stabili e strategici, e allo stesso tempo impedire un effetto paradosso:
dividendi trattati in un modo e plusvalenze in un altro sulla stessa partecipazione.
Da qui la seconda gamba della riforma: riallineare la Pex, cioè il regime che consente l’esenzione (di regola elevata) sulle plusvalenze
a determinate condizioni. Se la partecipazione non supera la soglia “significativa”, la manovra punta a evitare che
si crei una scorciatoia: niente sconto pieno sugli utili e poi, magicamente, maxi-agevolazione sul capital gain.
La Pex nel mirino: non basta rispettare i requisiti “classici”
La Pex tradizionale vive su requisiti noti (holding period, residenza, commercialità, ecc.). Il messaggio 2026 è: quei requisiti restano,
ma si aggiunge un filtro dimensionale. È un cambio di filosofia: non solo “come” e “quanto tempo” detieni,
ma anche quanto conta la partecipazione.
"L’esenzione si applica esclusivamente alle plusvalenze… in relazione a una partecipazione… non inferiore al 5 per cento o… 500 mila euro"
I casi caldi: conferimenti, quotate e partecipazioni “sotto soglia”
Il terreno più scivoloso è quello delle operazioni straordinarie, soprattutto i conferimenti e la gestione di pacchetti in società quotate
dove non è raro stare sotto il 5% ma con valori economici rilevanti (o, al contrario, avere percentuali “pulite” con valori fiscali bassi).
È qui che la soglia alternativa dei 500.000 euro diventa decisiva: può salvare situazioni che, altrimenti, finirebbero fuori.
Scenario 1: ho meno del 5%, ma un valore fiscale alto
Se la partecipazione vale fiscalmente almeno 500.000 euro, l’investitore può rientrare nel perimetro “significativo”
anche senza il requisito percentuale. È l’argine costruito per evitare che la norma colpisca indiscriminatamente chi ha investimenti
importanti ma frammentati.
Scenario 2: ho il 5% “di gruppo”, ma non direttamente
Qui entra la logica del gruppo con controllo e demoltiplicazione: alcune strutture potranno sommarne gli effetti,
altre scopriranno che la catena partecipativa “mangia” percentuale e fa scendere sotto la soglia. Tradotto: stessa sostanza economica,
esiti diversi a seconda dell’architettura societaria.
Clausole e salvaguardie: la politica teme l’effetto shock
Nel percorso parlamentare è emersa una preoccupazione: evitare un “taglio netto” che faccia saltare pianificazioni costruite su regole ventennali.
Per questo, nel dibattito tecnico sono state richiamate clausole di salvaguardia e correttivi per non penalizzare
certe partecipazioni acquisite in anni precedenti (tema che resta centrale fino all’approvazione definitiva).
Cosa fare adesso: checklist operativa per imprese e gruppi
- Mappare le partecipazioni: percentuali dirette, indirette, e “peso” nella catena di controllo.
- Misurare il valore fiscale: il test dei 500.000 euro può cambiare l’esito più del 5%.
- Rileggere operazioni straordinarie 2025-2026: conferimenti e riorganizzazioni vanno valutati con il nuovo filtro.
- Allineare dividendi e exit strategy: la logica 2026 punta a trattare in modo coerente utili e capital gain.
Il punto politico (e tecnico): una norma “anti-mismatch”
La riforma è un messaggio chiaro: i regimi di esclusione non sono più un tappeto steso sotto qualsiasi partecipazione,
ma una leva destinata a investimenti che superano una soglia di sostanza. Il rovescio della medaglia è altrettanto chiaro:
aumentano i casi di frontiera, e quindi contabilità, perizie e pianificazione diventano parte della partita.
In un 2026 che si apre con molte manopole fiscali da tarare, la “taglia minima” su dividendi e Pex è una di quelle che,
nel silenzio dei commi, può spostare decisioni industriali vere: dal modo in cui si costruiscono i gruppi fino a quando (e come)
conviene uscire da un investimento.