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Cronache dai Palazzi: il nuovo codice della strada, tra emergenza e timore di inimicarsi qualcuno

- di: Redazione
 
Cronache dai Palazzi: il nuovo codice della strada, tra emergenza e timore di inimicarsi qualcuno
445, come gli abitanti di un borgo o di un paesino.
Un numero che serve a dare la misura di quanto gli incidenti stradali che hanno un esito mortale ci portano via, come comunità, come Paese.
Lo scorso anno, di morti per e sulle strade, ce ne sono stati appunto 445. Un numero che sottolinea una emergenza sociale e che, però, allo stesso modo, evidenzia come, anche per un argomento delicato e doloroso come questo, non sempre a prevalere la ragionevolezza e la ricerca del benessere comune.
Anche dopo il varo, sia pure in un solo ramo del Parlamento, del nuovo Codice della strada, la sensazione è quella di una riforma imperfetta, studiata a tavolino che, sebbene nata con le migliori intenzioni, di poco o nulla muterà il quadro generale, anche perché condizionata da fattori ''politici'', quali la consapevolezza che qualsiasi scelta, qualsiasi misura inevitabilmente lascerà degli scontenti.

Il nuovo codice della strada, tra emergenza e timore di inimicarsi qualcuno

Anche se il numero degli incidenti, da un anno all'altro, cala, l'insicurezza che si avverte resta, guardando alla maggior parte degli incidenti come qualcosa cui non si possa porre rimedio. Ma non è proprio così.
Anche la nuova veste del Codice non sembra potere rispondere, al di là delle buone intenzioni, alla forte domanda che giunge dalla gente di vedere aumentate le misure a cautela dell'incolumità di chi degli incidenti è protagonista involontario, posto che la maggior parte - quasi tutti - dei sinistri sono causati dalla mancanza di prudenza da parte dei conducenti.

Prendiamo le sanzioni previste, dal nuovo testo del CdS, per chi guida mentre usa il telefono cellulare. Pensare che il ritiro della patente possa essere un deterrente è, di per sé, puramente utopico, anche se si minaccia di privarne i responsabili per un periodo che può variare da quindici giorni a due mesi (come se ci possa essere una scala di pericolosità: se uno parla al telefono il pericolo potenziale di cui si rende protagonista non può avere criteri diversi di valutazione e quindi punizione).

Poi la sanzione amministrativa - il ritiro a tempo della patente - è tutto fuorché realmente efficace perché si dovrebbe presupporre che qualcuno che rappresenti le istituzioni (le forze dell'ordine e i vigili urbani, una categoria che in tutte le città ha numeri deficitari, in termini di organico) metta a controllare le migliaia di automobilisti in transito. Considerando la cronica mancanza di vigili urbani nelle grandi città, la mancata osservanza della sospensione della patente ha percentuali di essere verificata vicine allo zero. Sicuramente ben più efficace sarebbe potuta essere una misura radicale, quella sì veramente esemplare: il fermo amministrativo della vettura del conducente imprudente, con sequestro temporaneo e messa a dimora in un deposito controllato.
Le stesse misure adottate per limitare il ricorso agli autovelox sembrano rispondere alla ''pancia'' degli automobilisti e non invece ad un criterio generale.

Perché va certamente bene reprimere l'abuso in cui cadono le amministrazioni comunali che con essi fanno cassa, ma non si può dimenticare che quegli apparecchi svolgono una funzione deterrente, imponendo agli automobilisti di pensarci due volte prima di premere il piede sull'acceleratore. Ma si sa che, quando si tratta di decidere, il politico deve essere ''strabico'' guardando all'oggettività e anche alla convenienza.
Davanti alla sequenza quotidiana di incidenti sulle strade e ai numeri dei morti, forse sarebbe stato il caso di avere più coraggio, nella consapevolezza che qualsiasi misura avrà sempre qualcuno che se ne lamenti e che magari se ne ricordi quando, davanti ad un urna elettorale, dovrà decidere.
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