Il divario tra ciò che le imprese cercano e ciò che riescono a trovare non si chiude. L’indagine sul lavoro 2025 di Confindustria indica che il 67,8% delle aziende fatica a reperire i profili richiesti: una percentuale elevata, stabile, che testimonia un problema ormai radicato. Il mismatch, dunque, non è più un’emergenza temporanea ma un limite strutturale alla competitività del sistema produttivo italiano.
Confindustria, due imprese su tre non trovano personale
A mancare non sono soltanto i profili ad alta specializzazione: le difficoltà riguardano competenze tecniche (57,1%), mansioni manuali qualificate (46,3%) e competenze trasversali o digitali evolute (intorno al 18%). Una fotografia che conferma l’Italia come Paese che sconta gli effetti combinati di trasformazioni tecnologiche veloci e investimenti formativi insufficienti. Le imprese dovrebbero correre, ma spesso non trovano le persone con cui farlo.
Il lavoro agile smette di essere un’eccezione
Sul fronte organizzativo si consolida, invece, il ruolo dello smart working. Oggi il 32,3% delle aziende adotta forme di lavoro agile, in una fase di stabilizzazione dopo gli anni dell’emergenza. Non è più una soluzione straordinaria, né un beneficio sperimentale: diventa una modalità ordinaria, integrata nei processi e bilanciata con esigenze produttive e benessere dei dipendenti.
Il welfare aziendale si orienta al benessere reale
Il welfare aziendale resta diffuso nel 55,3% delle imprese del campione Confindustria, ma cambia volto. Sempre più programmi non mirano soltanto a integrare reddito o offrire servizi accessori: cercano di migliorare la qualità della vita dei lavoratori, intervenendo su salute, conciliazione, supporto psicologico, iniziative per la crescita personale. Una scelta che molte imprese considerano strategica per trattenere competenze difficili da reperire sul mercato.
La contrattazione aziendale come strumento di cambiamento
Quasi il 70% dei lavoratori coinvolti nell’indagine è oggi coperto da un accordo aziendale. È questa una delle leve con cui le imprese stanno governando la trasformazione digitale: flessibilità organizzativa, modelli ibridi di lavoro, formazione continua, premi legati all’innovazione e alla produttività. In un Paese che storicamente delega alla contrattazione nazionale il grosso delle regole del lavoro, il dato segna un cambio di prospettiva: sempre più dinamiche si giocano nell’autonomia delle singole imprese.
Un mercato del lavoro che corre più veloce delle politiche
Il quadro generale mostra una realtà in piena evoluzione: tecnologie che avanzano rapidamente, organizzazioni che cambiano assetto, nuovi bisogni dei lavoratori, nuove richieste delle imprese. A muoversi più lentamente è la capacità di creare competenze adeguate, colmare divari, costruire percorsi di inserimento efficaci.
Confindustria lo definisce un “problema strutturale”, ma la formula dice più di quanto sembri: significa che senza un’azione coordinata — tra scuola, imprese, formazione, istituzioni — il rischio è di frenare la crescita proprio nel momento in cui l’economia avrebbe bisogno di slancio.