Dallo stretto legame con Díaz-Canel al processo segreto per spionaggio e corruzione: il caso che scuote il cuore del potere cubano.
L’ex ministro dell’Economia cubano Alejandro Gil Fernández (foto), 61 anni, è stato condannato all’ergastolo per spionaggio e a una pena aggiuntiva di 20 anni di carcere per gravi reati economici, al termine di due procedimenti distinti celebrati a porte chiuse all’Avana. La sentenza, emessa dal Tribunale Supremo Popolare e resa pubblica l’8 dicembre 2025, segna uno degli scandali politico-giudiziari più clamorosi a Cuba dai tempi del generale Arnaldo Ochoa, fucilato nel 1989 per traffico di droga.
Il verdetto arriva al culmine di quasi due anni di indagini e di un’opacità totale sulla sorte dell’uomo che, fino al febbraio 2024, era considerato il volto tecnico delle riforme economiche del governo di Miguel Díaz-Canel. Ora il regime lo presenta come un funzionario “corrotto” e “traditore”, responsabile di aver messo a repentaglio sicurezza dello Stato ed economia nazionale.
Le due condanne: spionaggio, mazzette e documenti sensibili
Secondo la nota ufficiale del Tribunale Supremo, Alejandro Gil è stato giudicato in due processi separati. Nel primo, la corte lo ha ritenuto responsabile di:
- Spionaggio
- Atti dannosi per l’attività economica o la contrattazione
- Corruzione (concussione e mazzette)
- Sottrazione e danneggiamento di documenti sotto custodia ufficiale
- Violazione di sigilli ufficiali
- Violazione delle norme di protezione dei documenti classificati
Per questo primo blocco di reati, ritenuti di “estrema gravità” e con impatto diretto sulla sicurezza dello Stato, la corte ha disposto una pena congiunta di ergastolo. Nel secondo procedimento, Gil è stato condannato per:
- Corruzione continuata
- Falsificazione di documenti pubblici
- Traffico d’influenze
- Frode ed evasione fiscale
Qui il tribunale ha stabilito una pena di 20 anni di carcere. A queste si aggiungono misure accessorie: confisca dei beni, interdizione da qualsiasi incarico legato alla gestione di risorse pubbliche e privazione dei diritti civili e politici per un periodo prolungato. Le autorità sottolineano che la sanzione si fonda anche sull’articolo 4 della Costituzione, che definisce la “tradimento della patria” il crimine più grave, passibile delle pene più dure.
Il tribunale ha accusato l’ex ministro di aver abusato del proprio potere per ottenere benefici personali, ricevendo denaro da imprese straniere e corrompendo altri funzionari per “legalizzare” l’acquisizione di beni. Inoltre, avrebbe violato le procedure di sicurezza sui documenti riservati, sottraendoli, danneggiandoli e mettendoli infine a disposizione dei “servizi del nemico”.
Nonostante la durezza della sentenza, la stessa corte ricorda che imputato e Procura hanno dieci giorni per presentare appello e che, anche in assenza di ricorsi, l’ergastolo deve comunque essere riesaminato d’ufficio, come prevede la legge cubana.
Un processo blindato: tribunale militare, segretezza totale, polizia ovunque
Fin dall’inizio la vicenda giudiziaria di Gil si è svolta in un clima di segretezza eccezionale. Il processo principale per spionaggio e corruzione è cominciato l’11 novembre 2025 in un tribunale militare del municipio di Marianao, all’Avana, senza pubblico, senza stampa e con un imponente dispositivo di sicurezza. Le udienze si sono tenute in due blocchi: dall’11 al 13 novembre e poi dal 26 al 29, sempre con accesso limitato solo alle parti autorizzate.
La corte ha giustificato il dibattimento a porte chiuse con la necessità di tutelare la sicurezza nazionale e di proteggere informazioni classificate. Già a inizio novembre, l’Alta corte cubana aveva annunciato che il processo si sarebbe svolto in segreto, pur assicurando genericamente il rispetto del “giusto processo”.
Ma le rassicurazioni ufficiali non hanno convinto molti. Organizzazioni indipendenti e media in esilio hanno descritto un vero assedio di polizia e militari attorno al tribunale, con controlli capillari, divieto di avvicinarsi alla zona e nessuna possibilità per cittadini e giornalisti di assistere. Anche alcuni ex funzionari legati al sistema, come l’ex agente dei servizi René González, hanno chiesto pubblicamente un processo trasparente e aperto, segnalando il disagio che il caso suscita perfino tra i fedelissimi del regime.
La stessa famiglia di Gil ha denunciato irregolarità e opacità, sottolineando la mancanza di informazioni puntuali e la difficoltà di comunicare con l’imputato. La figlia e la sorella dell’ex ministro hanno più volte chiesto un processo pubblico, definendo “politiche” molte delle accuse e criticando il funzionamento della giustizia cubana.
Dal cerchio magico di Díaz-Canel alla caduta improvvisa
La vicenda giudiziaria non si capisce senza ripercorrere l’ascesa politica di Alejandro Gil. Ingegnere di formazione, specializzato in trasporti marittimi, Gil viene catapultato negli anni Duemila nei centri decisionali del modello economico cubano. Nel 2018 diventa ministro dell’Economia e della Pianificazione, e nel 2019 assume anche il ruolo di vice primo ministro.
Per quasi un quinquennio è una delle figure più esposte del governo Díaz-Canel: partecipa alle “Mesa Redonda” televisive, illustra piani e numeri, difende misure impopolari. La sua immagine è quella del tecnico fedele, il volto delle riforme che dovrebbero modernizzare un’economia cronicamente in crisi.
La svolta arriva con la Tarea Ordenamiento, la grande riforma monetaria e dei prezzi entrata in vigore il 1° gennaio 2021. Il piano, voluto dalla cupola del Partito, prevede:
- l’abolizione della doppia moneta (peso cubano e peso convertibile)
- una massiccia rivalutazione di salari e pensioni
- l’eliminazione di molti sussidi e di numerose gratuità
- l’allineamento dei prezzi a un tasso di cambio ufficiale fissato
Nelle intenzioni, la riforma doveva dare un colpo di frusta all’economia, rendere più trasparente il sistema dei prezzi e favorire gli investimenti. Nella pratica, ha prodotto un’ondata inflazionistica devastante, con forti aumenti delle tariffe di elettricità, carburanti e servizi di base, e ha contribuito a spingere milioni di cubani verso una povertà ancora più profonda.
Mentre il turismo crollava dopo la pandemia, le entrate in valuta estera si prosciugavano, le sanzioni statunitensi restavano in vigore e le forniture di petrolio agevolato da alleati come il Venezuela si riducevano, l’effetto combinato della Tarea Ordenamiento è stato esplosivo: prezzi alle stelle, salari erosi, carenza di cibo e farmaci, blackout continui.
Il malcontento ha preso la forma di nuove proteste di piazza, come quelle del marzo 2024, quando migliaia di persone sono scese in strada soprattutto a Santiago de Cuba per denunciare fame, mancanza di elettricità e inflazione fuori controllo. Pochi giorni prima di quelle manifestazioni, il 7 marzo, Díaz-Canel aveva annunciato l’uscita di Gil dal governo, imputandogli “gravi errori” nella gestione economica.
All’epoca il presidente aveva parlato di indagini della polizia e della Procura, sottolineando che la corruzione non sarebbe stata tollerata e che lo stesso Gil aveva riconosciuto “accuse serie”, dimettendosi anche dal Comitato centrale del Partito comunista e dal Parlamento. Era il primo segnale pubblico che l’ex zar dell’economia stava cadendo in disgrazia.
Le prime accuse: dall’espionaggio al riciclaggio
Per mesi però, dopo la sua destituzione, di Alejandro Gil non si è saputo più nulla. Solo il 31 ottobre 2025 la Procura generale ha rotto il silenzio, annunciando con una nota un elenco impressionante di capi d’accusa: spionaggio, atti dannosi per l’attività economica, malversazione, corruzione, falsificazione di documenti, evasione fiscale, traffico d’influenze, riciclaggio di denaro, violazione delle norme sui documenti classificati e furto di documenti sotto custodia ufficiale.
La stessa nota spiegava che si trattava dell’esito di quasi due anni di indagini e che Gil non era l’unico indagato, pur senza fornire nomi o numeri degli altri presunti complici. L’annuncio è stato presentato come prova della “tolleranza zero” verso la corruzione, ma ha anche mostrato quanto il caso fosse diventato politicamente esplosivo.
Quando, a novembre, la corte suprema ha fissato la data del processo e annunciato il dibattimento a porte chiuse, ha ammesso apertamente che Gil rischiava l’ergastolo e persino la pena di morte, poiché il codice penale cubano prevede, per il reato di spionaggio, un ventaglio di sanzioni che va da 10 anni di prigione fino all’estrema ratio.
Chi è il “nemico”? Le rivelazioni della sorella e l’ombra della Cia
A riempire i vuoti di informazione ufficiale hanno contribuito, nelle ultime settimane, familiari e media indipendenti in esilio. In un’intervista a un giornalista cubano di Miami, la sorella di Alejandro Gil, María Victoria Gil, ex presentatrice della tv di Stato e avvocata, ha sostenuto che il fratello viene accusato di aver spiato a favore degli Stati Uniti, e in particolare della Cia, e che dietro il processo ci sarebbe un regolamento di conti interno ai vertici del potere.
Secondo la sua ricostruzione, sarebbe il primo ministro Manuel Marrero, legato agli interessi del potente conglomerato militare-imprenditoriale GAESA, a spingere per incastrare Gil e a trasformarlo nel capro espiatorio del disastro economico. La sorella sostiene che proprio Marrero, il 1° febbraio 2024, avrebbe convocato l’allora ministro per informarlo del suo licenziamento e, il giorno successivo, lo avrebbe fatto trovare di fronte a funzionari della Sicurezza di Stato, che lo avrebbero messo ufficialmente sotto inchiesta.
María Victoria racconta che Gil e la moglie sarebbero stati trattenuti per mesi in una residenza controllata dal Ministero dell’Interno, prima che l’ex ministro venisse trasferito nella prigione di massima sicurezza di Guanajay, nella provincia di Artemisa, dove la famiglia avrebbe potuto vederlo solo per 15 minuti ogni 15 giorni. La donna afferma che il fratello nega categoricamente qualsiasi attività di spionaggio, pur riconoscendo una responsabilità politica e morale nel tracollo economico.
Le sue accuse sono pesantissime: definisce il sistema di potere cubano “corrotto fino al midollo” e ritiene che, se davvero si volesse punire la corruzione, bisognerebbe portare in tribunale l’intera leadership. Sono dichiarazioni non verificabili in modo indipendente, ma contribuiscono a rafforzare l’idea, diffusa tra parte della diaspora e dell’opposizione, che il caso Gil sia anche una guerra intestina tra fazioni del regime.
Un tecnocrate diventato simbolo di un sistema in crisi
Al di là delle versioni contrapposte, un punto emerge con chiarezza: per anni Alejandro Gil è stato uno degli uomini su cui il potere ha puntato di più. Ingegnere navale, non economista, si è trasformato nel principale portavoce pubblico di politiche durissime per la popolazione, a cominciare dai rialzi dei prezzi dei servizi sovvenzionati – benzina, elettricità, trasporti – giustificati in nome dell’“aggiornamento del modello socialista”.
La Tarea Ordenamiento, da lui difesa fino all’ultimo in tv e nelle sedi di partito, è oggi citata da analisti cubani e internazionali come una delle leve che hanno aggravato un quadro già drammatico: crollo della produzione, inflazione galoppante, fuga di massa verso l’estero, mercato nero in espansione. Il disastro non nasce con lui, ma si consuma mentre lui è al timone dell’economia, e questo lo rende un bersaglio perfetto.
Non a caso alcuni commentatori parlano apertamente di capro espiatorio: le decisioni strategiche sulla riforma monetaria, sui piani energetici o sulle priorità di spesa sono sempre state approvate ai livelli più alti del Partito e del governo. Colpire Gil con un processo esemplare permette al regime di inviare un messaggio di “rigore”, ma non affronta le cause strutturali della crisi.
La crisi economica come sfondo: blackout, fame, fuga
La condanna di Gil arriva mentre Cuba attraversa una delle peggiori crisi economiche dagli anni Novanta. Il Paese è colpito da:
- Blackout estesi, dovuti a un sistema elettrico obsoleto e alla scarsità di combustibile
- Carenza cronica di cibo e farmaci, con code interminabili per beni di prima necessità
- Inflazione a più cifre, che erode i salari già bassissimi
- Crollo del turismo, ancora lontano dai livelli pre-pandemia
- Sanzioni statunitensi inasprite e difficoltà di accesso ai mercati finanziari
Nel marzo 2024, le proteste contro blackout e scarsità di alimenti hanno attraversato varie città, costringendo il governo a intervenire con distribuzioni straordinarie di cibo e con il ricorso all’ormai consueta arma del blocco di internet e della telefonia mobile. A fine 2025, un nuovo collasso parziale della rete elettrica ha lasciato al buio buona parte dell’ovest dell’isola, con la capitale nuovamente paralizzata per ore.
In questo contesto, il processo all’ex ministro dell’Economia si trasforma automaticamente in un processo politico alla gestione della crisi. I media ufficiali insistono sulla narrativa del “funzionario corrotto che ha tradito la fiducia del popolo e della direzione del Paese”; i media indipendenti e la diaspora sottolineano invece che le scelte chiave hanno avuto il via libera della cupola del Partito e che il fallimento è collettivo.
Un caso paragonato all’affare Ochoa
Più osservatori hanno accostato il caso Gil alla vicenda del generale Arnaldo Ochoa, eroe della Rivoluzione fucilato nel 1989 dopo un processo per traffico di droga e corruzione. Anche allora, la leadership rivoluzionaria aveva presentato il procedimento come prova di rettitudine etica, mentre critici interni ed esterni avevano visto nell’episodio un regolamento di conti ai vertici del potere e un monito ad altri potenziali dissidenti interni.
Oggi, la condanna all’ergastolo di un ex ministro in carica fino a pochi mesi fa è un segnale duro e inequivocabile: nessuno, neppure il più visibile tra i tecnocrati del sistema, è al riparo se diventa politicamente scomodo. Il messaggio interno è doppio: da un lato, “la corruzione sarà punita”; dall’altro, “la fedeltà non garantisce impunità”.
Che cosa resta irrisolto
Al netto della retorica ufficiale, restano zone d’ombra decisive:
- il contenuto concreto delle attività di spionaggio attribuite a Gil; il nome del “nemico” compare solo in modo allusivo
- l’identità e il ruolo degli altri imputati citati dalla Procura
- il grado di responsabilità politica dei vertici che hanno approvato le riforme oggi addossate all’ex ministro
La decisione di celebrare l’intero procedimento a porte chiuse impedisce qualsiasi verifica indipendente delle prove. Gli appelli della famiglia, di parte dell’opinione pubblica e perfino di figure legate al sistema per un processo pubblico sono stati ignorati. Anche le dichiarazioni di María Victoria Gil e di altri parenti, così come le ricostruzioni dei media in esilio, non possono essere controllate sul terreno, dato il contesto repressivo e il blocco dell’informazione.
Resta il fatto che, per milioni di cubani, Alejandro Gil è stato per anni il ministro che chiedeva “fiducia” nelle riforme mentre la vita quotidiana diventava sempre più dura. Ora il regime lo presenta come traditore e spia. In mezzo, c’è un Paese in recessione, attraversato da blackout e carenze, e una società sempre più sfiduciata. La condanna all’ergastolo chiude il capitolo personale di Gil, ma lascia aperta la domanda più pesante: chi risponderà del fallimento di un intero modello economico?