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Dazi Asia, l’Italia accelera: perché Urso spinge per misure immediate contro la concorrenza cinese?

- di: Redazione
 
Dazi Asia, l’Italia accelera: perché Urso spinge per misure immediate contro la concorrenza cinese?

La pressione dei prodotti asiatici sul mercato europeo è diventata uno dei temi più delicati del confronto commerciale internazionale. L’aumento dei dazi negli Stati Uniti ha generato un effetto secondario di rilievo: ciò che non entra più nel mercato americano, per costi troppo elevati, si sposta verso l’Europa, che resta l’area avanzata con il minore livello di protezione alle frontiere.

Dazi Asia, l’Italia accelera: perché Urso spinge per misure immediate contro la concorrenza cinese?

Il risultato è un incremento marcato di importazioni a prezzi particolarmente competitivi, soprattutto nei settori dell’acciaio, del tessile e dell’elettronica. La dinamica riguarda in modo diretto l’Italia, caratterizzata da una struttura manifatturiera esposta alla concorrenza di costo e da filiere che soffrono quando la pressione al ribasso diventa insostenibile.

Il caso emblematico dell’ultra fast fashion
La crescita esponenziale dei colossi digitali asiatici dell’abbigliamento ha reso ancora più evidente la fragilità del sistema europeo di controllo alle frontiere. Milioni di pacchi entrano quotidianamente in Europa al di sotto della soglia dei 150 euro, limite che consente l’esenzione dai dazi e accelera il passaggio doganale. L’effetto è duplice: da un lato aumenta la concorrenza sleale verso le imprese che rispettano regole ambientali e sociali più severe, dall’altro si indebolisce la capacità di tracciamento e verifica della sicurezza dei prodotti. Da qui la richiesta italiana di applicare rapidamente un dazio specifico a questo flusso, così da ristabilire un equilibrio competitivo e rendere possibili controlli oggi praticamente assenti.

Perché Urso chiede velocità
La posizione del ministro si spiega con tre fattori. Il primo è la necessità di reagire a un fenomeno che si sta muovendo più velocemente della capacità decisionale europea: attendere tempi lunghi significherebbe concedere ai player extra Ue un vantaggio crescente. Il secondo riguarda la tutela delle filiere nazionali più esposte, come siderurgia, moda, automotive e componentistica, che rischiano di subire un’erosione dei margini in un contesto di domanda interna debole. Il terzo è la responsabilità politica di proteggere un sistema produttivo che, a differenza di altri, dipende in larga misura dalle esportazioni e non può permettersi una distorsione strutturale della concorrenza.

L’effetto atteso su industria e consumatori

L’introduzione di dazi più incisivi potrebbe attenuare la pressione sui prezzi a cui sono sottoposte molte imprese europee. Nel caso dell’acciaio, la sovrapproduzione asiatica pesa sui listini e riduce la redditività degli stabilimenti continentali, già penalizzati da costi energetici superiori. Nel settore moda, l’arrivo massiccio di articoli a pochi euro modifica le dinamiche della domanda, favorendo volumi elevati ma a scapito della qualità e del rispetto degli standard. Allo stesso tempo, un aumento dei dazi potrebbe far salire parte dei prezzi al consumo, anche se l’effetto non sarebbe uniforme e dipenderebbe dal grado di dipendenza delle catene distributive dai fornitori extra Ue.

Un nodo che tocca l’autonomia industriale europea

Al di là della contingenza, il dibattito sui dazi riporta al centro il tema dell’autonomia strategica dell’Europa. Le industrie europee operano in un ambiente normativo molto più rigoroso rispetto ai concorrenti extra Ue e affrontano costi di adeguamento ambientale e sociale che non hanno equivalenti in altri mercati. Per questo, misure correttive come i dazi o i meccanismi di aggiustamento alla frontiera non vengono presentate come protezionismo, ma come necessari strumenti di riequilibrio.

Un equilibrio politico ancora da raggiungere
La richiesta di Urso di anticipare l’entrata in vigore dei dazi nasce quindi dalla volontà di ridurre rapidamente le distorsioni competitive che si stanno ampliando. Trasforma un tema tecnico in una questione di politica industriale: proteggere il sistema produttivo europeo non significa chiudersi, ma evitare che le asimmetrie globali rendano insostenibile la competizione. L’Europa, però, deve trovare una sintesi che tenga insieme l’apertura dei mercati, la difesa delle imprese e la sostenibilità dei prezzi per i consumatori.

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