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Repressione o tutela? Il decreto Sicurezza diventa legge: cosa cambia davvero e perché infiamma lo scontro politico

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Repressione o tutela? Il decreto Sicurezza diventa legge: cosa cambia davvero e perché infiamma lo scontro politico

Il Senato ha approvato in via definitiva il decreto Sicurezza con 109 voti favorevoli, 69 contrari e un’astensione. Il testo, fortemente voluto dalla premier Giorgia Meloni e dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, è ora legge dello Stato. Ma il provvedimento ha riacceso con forza il conflitto tra maggioranza e opposizioni, al punto da sfiorare la rissa in aula. Il governo rivendica il decreto come un atto di “civiltà e protezione dei cittadini”.

Repressione o tutela? Il decreto Sicurezza diventa legge: cosa cambia davvero e perché infiamma lo scontro politico

Le opposizioni lo definiscono invece un pacchetto repressivo che colpisce i più deboli e restringe diritti fondamentali. Ma al di là delle dichiarazioni politiche, il testo solleva interrogativi più profondi: quale idea di sicurezza porta con sé? E quali saranno gli effetti reali sulle persone?

Detenute madri, case occupate e carcere più duro

Uno dei punti più controversi riguarda le nuove disposizioni sulle detenute madri. Il decreto prevede un inasprimento delle misure cautelari anche per chi ha figli piccoli, limitando la possibilità di accedere agli arresti domiciliari e rafforzando la detenzione in carcere. Una scelta che, secondo la ministra della Famiglia Eugenia Roccella, serve a “proteggere i minori da ambienti criminali”. Ma per molte associazioni e giuristi si tratta di un grave arretramento rispetto ai diritti dell’infanzia.

Altro nodo centrale: l’inasprimento delle pene per chi occupa abusivamente immobili pubblici o privati. Si introduce una linea di tolleranza zero verso chi si insedia in case vuote, spesso in condizioni di bisogno. L’obiettivo, per il governo, è “ripristinare la legalità nei quartieri degradati”. Le opposizioni, però, denunciano una “criminalizzazione della povertà” e ricordano che il fenomeno delle occupazioni riguarda spesso famiglie in emergenza abitativa.

Il decreto interviene anche sulla gestione delle rivolte nelle carceri, prevedendo misure più severe nei confronti di chi partecipa a disordini e danneggiamenti. Un pacchetto che, nella visione del Viminale, vuole rafforzare l'autorità dello Stato, ma che secondo i garanti dei detenuti rischia di peggiorare una situazione già esplosiva dietro le sbarre.

Cannabis e repressione giovanile

Il testo contiene inoltre una stretta significativa sull’uso personale di cannabis. Viene abbassata la soglia per il ritiro della patente o della licenza di guida, anche nei casi in cui non vi sia alcun legame con la guida in stato alterato. Una misura che il ministro Salvini ha definito “di buon senso”, ma che viene letta da molti come un tentativo ideologico di equiparare il consumo personale a comportamenti criminali.

Gli osservatori notano come l’inasprimento delle sanzioni possa colpire in modo particolare i giovani, rischiando di criminalizzare fasce di popolazione che già vivono una condizione di fragilità. Il decreto non introduce misure di prevenzione o sostegno, né investimenti in programmi educativi o sanitari. Il messaggio implicito sembra essere: punire, per disincentivare.

Meloni rivendica la scelta, Schlein attacca

Subito dopo l’approvazione, Giorgia Meloni ha commentato con soddisfazione: “È un decreto che rafforza la tutela di cittadini, persone vulnerabili e agenti. Il governo continua a difendere legalità e sicurezza”. Matteo Salvini ha parlato di “norme di civiltà che riportano ordine dove regnava il caos”.

Opposta la lettura della segretaria del Partito Democratico Elly Schlein, che ha definito il decreto “un manifesto della repressione” e ha denunciato un clima culturale che considera la sicurezza come sinonimo di punizione. Duri anche gli interventi in aula degli esponenti di Sinistra Italiana e Movimento 5 Stelle, che hanno gridato “vergogna” al centro dell’emiciclo.

Secondo i critici, il decreto si inserisce in una visione autoritaria dello Stato, che risponde al disagio sociale con strumenti di controllo e deterrenza, ma non offre soluzioni strutturali alle cause profonde dell’insicurezza: povertà, emarginazione, abbandono scolastico.

Verso una società più rigida?

Il decreto Sicurezza rappresenta un passaggio simbolico e politico rilevante. Da un lato raccoglie il consenso di chi chiede maggiore fermezza, specialmente dopo episodi di criminalità o degrado urbano. Dall’altro, alimenta il timore che si stia costruendo un impianto normativo sempre più orientato al rigore, a scapito della mediazione sociale.

Le implicazioni vanno ben oltre l’emergenza: si ridisegna il rapporto tra cittadino e Stato, tra libertà individuale e controllo. La politica della sicurezza non è più solo ordine pubblico, ma identità, visione del futuro, e soprattutto ideologia.

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