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Donne nei campi, il costo sommerso dell’agricoltura italiana

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Donne nei campi, il costo sommerso dell’agricoltura italiana

Dietro le cifre della produzione agricola italiana si nasconde una falla strutturale che pesa sull’intera economia del settore: le donne impiegate nei campi guadagnano in media 1.800 euro in meno degli uomini ogni anno, con stipendi che si fermano a 5.400 euro lordi contro i 7.200 dei colleghi maschi.
È quanto emerge da “(Dis)uguali”, il nuovo rapporto dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil, curato con l’elaborazione della ricercatrice Istat Annalisa Giordano e presentato oggi a Roma.


Donne nei campi, il costo sommerso dell’agricoltura italiana

Le donne rappresentano quasi un terzo dei lavoratori dipendenti contrattualizzati nel comparto agricolo – circa 300mila unità – ma, secondo le stime di ActionAid, il lavoro sommerso potrebbe portare il numero reale a oltre 350mila, includendo tra 51mila e 57mila lavoratrici straniere irregolari.
Dietro questi numeri, si legge nel rapporto, non c’è solo una questione di disuguaglianza sociale, ma un problema di efficienza economica: lo sfruttamento, il caporalato e l’esclusione femminile dai ruoli qualificati riducono la produttività, deprimono la domanda interna e generano un effetto di dumping che distorce la concorrenza tra imprese agricole.

Il costo nascosto del lavoro “invisibile”
La ricerca evidenzia come le donne nei campi non solo vengano pagate meno, ma siano spesso costrette a sostenere carichi di lavoro non retribuiti, legati alla preparazione dei pasti, alla pulizia o alla cura degli uomini del gruppo di braccianti.
Un modello economico che sottrae valore e impedisce la modernizzazione del settore.
“Si tratta di un sistema che carica le donne di compiti invisibili, non retribuiti e non riconosciuti”, spiega Rosanna Liotti del progetto antitratta Incipit.
L’impatto macroeconomico è duplice: da un lato la perdita di reddito disponibile per le famiglie agricole, dall’altro la sottrazione di forza lavoro qualificata, spesso spinta a emigrare o a rifugiarsi nell’economia informale.

Il “caporalato di genere”: quando il salario diventa ricatto
Il Quaderno riporta anche casi di sfruttamento estremo, dove la paga promessa si trasforma in ricatto sessuale.
Una bracciante bulgara di 28 anni, arrivata in Calabria con la promessa di 9 euro l’ora, ha ricevuto solo 90 euro in due mesi di lavoro e l’offerta “di concedersi” al caporale per essere pagata. Dopo la fuga, è stata soccorsa da un’associazione antitratta.
Vicende come questa, osservano le autrici, rivelano una catena economica di valore basata sulla vulnerabilità: meno diritti significa costi più bassi per alcuni datori di lavoro e maggiore precarietà per l’intero comparto.

Ghetti, lavoro grigio e mancanza di infrastrutture
Un’indagine di Cittalia per Anci e Ministero del Lavoro conferma che nei “ghetti agricoli” – insediamenti informali dove vivono circa 11mila persone – le donne rappresentano il 17% della popolazione, con punte oltre il 50% in alcune aree del Sud.
“L’assenza di trasporti, asili e servizi territoriali – sottolinea la sociologa Federica Dolente – obbliga molte donne a rinunciare a opportunità di impiego regolare, mantenendo in vita un sistema inefficiente e diseguale”.
Per la Flai Cgil, la mancanza di infrastrutture adeguate nelle zone rurali non è solo un problema sociale, ma un fattore di freno alla produttività complessiva del settore agricolo italiano, già in difficoltà nel confronto europeo.

Dieci anni dalla legge 199: la sostenibilità passa dai diritti
Il Quaderno si apre con la storia di Paola Clemente, morta di fatica nel 2015 nelle campagne di Andria, episodio che portò all’approvazione della legge 199/2016 contro lo sfruttamento e il caporalato, una norma che nel 2026 compirà dieci anni.
La Flai Cgil sottolinea come quella legge rappresenti anche una leva economica di sostenibilità, poiché la trasparenza nelle filiere e la regolarizzazione dei rapporti di lavoro aumentano la competitività delle imprese sane.

“Una battaglia economica oltre che sociale”
“Raccontare la condizione delle donne in agricoltura non è solo analisi sociale, ma un atto politico e sindacale – commenta il segretario generale Giovanni Mininni –. Rendere visibile il lavoro delle donne significa far emergere la parte nascosta del valore prodotto nei campi”.
Nella postfazione, Maria Grazia Giammarinaro, presidente del Comitato scientifico dell’Osservatorio, ricorda che “fino a quando la presenza femminile sarà ignorata, il sistema agricolo resterà incompleto anche dal punto di vista economico”.
La conoscenza, conclude, è la premessa per una nuova economia rurale: sostenibile, paritaria e fondata su lavoro dignitoso e produttività reale.

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