Possibile tributo dai proventi tariffari: tra riduzione del debito e promesse alla base elettorale.
Proventi dai dazi, morte del deficit o gift card fiscale?
Donald Trump ha rilanciato l’idea di utilizzare i “centinaia di miliardi di dollari” incassati tramite dazi per scopi che vanno ben oltre la mera amministrazione fiscale. In un breve intervento prima di salire sull’Air Force One, l’ex presidente ha dichiarato che, pur riconoscendo il ruolo primario del gettito tributario nel contribuire alla riduzione del debito pubblico, la possibilità di una “distribuzione o dividendo” a cittadini a medio e basso reddito è una strada concretamente percorribile.
Riferendosi al primo mandato, Trump ha sottolineato come lui avesse iniziato a ridurre il debito grazie ai dazi con la Cina, ma che la pandemia avrebbe interrotto questo processo. E ha affermato che “se Biden non avesse rovinato tutto”, oggi si sarebbe potuto estendere questa strategia anche all’Europa.
Quanto valgono i dazi? Numeri e proiezioni
Il Tesoro USA ha segnalato oltre 150 miliardi di dollari di entrate tariffarie nel corso dell’anno fiscale 2025, con proiezioni che potrebbero toccare i 300 miliardi entro fine anno. Il presidente ha espresso fiducia che una parte di questi fondi non spenda tutto per debito, ma possa finanziare anche tagli fiscali e potenziali rimborsi diretti ai contribuenti.
Il senatore repubblicano Josh Hawley ha già presentato il "American Worker Rebate Act", che propone assegni fino a 600 USD per adulto o bambino, e fino a 2.400 USD per famiglia da 4 membri, finanziati con dazi, da distribuire nel 2025 o all'inizio del 2026.
Dibattito acceso: dividendi sociali o rigore fiscale?
Tra i commentatori, l’investitore Kevin O’Leary si è mostrato scettico nei confronti dell’ipotesi di dividendo. Secondo lui, gli americani preferirebbero che le risorse in eccesso vadano interamente a ridurre il debito pubblico, piuttosto che finire in prebende temporanee.
Tuttavia, per Trump e i suoi sostenitori, la proposta potrebbe rinsaldare il legame con l’elettorato popolare a reddito medio e basso, traducendo il gettito in un beneficio materiale tangibile.
Lo sfondo macroeconomico e le incognite
Questa mossa si inserisce in un contesto di politica commerciale aggressiva: nuovi dazi “snapback” destinati a decollare tra il 1° e il 7 agosto contro oltre 60 paesi, con tariffe fino al 41% su importazioni da UE, Canada, India, Taiwan e altri. Gli advisor economici della Casa Bianca assicurano che i tassi tariffari siano pressoché definitivi e non soggetti a negoziazione.
Gli analisti avvertono però che la strategia potrebbe avere un costo: aumento dell’inflazione, tensioni nei mercati globali, riduzione della fiducia degli investitori e rischi di rallentamento economico.
Opportunità o rischio populista?
La proposta di Trump mette sul tavolo un binomio intrigante: una retorica populista ben congegnata – dividendi ai meno abbienti – e una promessa più sobria, ma a lungo termine, di riequilibrare i conti pubblici. Se approvata in forma legislativa (come nel caso della proposta Hawley), potrebbe portare a una svolta significativa nella redistribuzione del gettito tariffario.
Tuttavia, resta cruciale capire se i 300 miliardi previsti saranno effettivamente disponibili, oppure richiesti per coprire il deficit strutturale di circa 1,3‑1,4 trilioni USD previsto per il 2025. E soprattutto: se il rilancio dei dazi danneggerà i consumatori più vulnerabili, i benefici netti per i meno abbienti potrebbero rivelarsi modesti.
Dazi come leva fiscale patriottica
Trump rilancia i dazi come leva fiscale patriottica: riduzione del debito, potenziali dividendi ai cittadini meno ricchi. Ma se e quando queste promesse diventeranno fatti concreti, dipenderà dall’evoluzione politica, legislativa e dalla reazione dei mercati globali.