Elezione diretta del Premier per un Governo eletto dal popolo: la proposta di Frosini

- di: Tommaso Edoardo Frosini*
 

Nella conferenza stampa di fine anno, la Presidente Meloni è tornata sul tema del presidenzialismo, coerentemente con quanto aveva già detto nel discorso programmatico alle Camere sulla fiducia e, soprattutto, in campagna elettorale. Anche stavolta ha fatto un esplicito riferimento al semipresidenzialismo francese, quale possibile modello da emulare. È vero che questa ipotesi di riforma costituzionale aveva trovato in passato adesioni, anche da parte delle attuali opposizioni, e pure voti parlamentari, ma è altrettanto vero che non può essere garantito, in Italia, un funzionamento a la francese. Laddove cioè il presidente della repubblica è di fatto, ma non di diritto, capo del governo, a condizione di avere una maggioranza parlamentare espressione del partito di cui lui stesso è leader. Complice un sistema elettorale maggioritario e una costituzione calibrata sul suo ruolo, come la volle De Gaulle quando la varò nel lontano 1958. Una costituzione, è bene ricordarlo, priva di diritti e tutta incentrata sui poteri, che funzionano più in base alla prassi che alla normativa. Si pensi alla cd. coabitazione, che si è manifestata diverse volte nella più recente storia costituzionale francese, e che consiste nella condivisione coatta tra un presidente della repubblica, eletto dal popolo, di una certa estrazione politica e un primo ministro, votato dal parlamento, espressione della forza politica opposta a quella del presidente. Insomma, un sistema ad alta imprevedibilità in termini di governabilità e stabilità governativa.

Elezione diretta del Premier per un Governo eletto dal popolo: la proposta di Frosini

L’Italia ha conosciuto un’altra esperienza istituzionale di forma di governo cd. del premierato. Per circa vent’anni gli elettori hanno votato per le elezioni parlamentari sapendo di concorrere a votare anche per il capo del governo. È stata la stagione del bipolarismo, con due schieramenti che si sono alternati al governo e con i rispettivi leader candidati alla presidenza del consiglio, Un sistema che si è modellato su quello britannico, il cd. “modello Westminster”, dove il leader del partito che vince le elezioni diventa primo ministro, salvo la possibilità, da parte dello stesso partito, di cambiarlo (come è accaduto, di recente, con Johnson e Truss).

La proposta che qui si vuole avanzare è quella di codificare in costituzione questo sistema attraverso l’elezione diretta del primo ministro. Un sistema che gli italiani conosco e apprezzano quando votano, da oltre vent’anni, per il sindaco del proprio comune oppure per il presidente della propria regione. L’elezione a suffragio universale del primo ministro rafforzerebbe la figura e il ruolo del capo del governo, il quale sarebbe l’effettivo titolare dell’indirizzo politico, con alcune prerogative costituzionali, quali il potere di scioglimento anticipato delle Camere e la revoca dei ministri. E con un presidente della repubblica, immutato nel suo ruolo e nelle sue prerogative, quale potere neutro e garante della costituzione.

Il capo del governo dovrebbe essere sostenuto da una maggioranza parlamentare, espressione di un sistema elettorale che premia, maggioritariamente, la lista o le coalizioni di liste che sostengono il candidato primo ministro. E con il meccanismo, già presente a livello locale e regionale, del cd. simul stabunt simul cadent, e cioè che governo e parlamento nascono e cadono insieme, e quindi se le Camere sfiduciano il governo si auto-sciolgono, in modo che si possa tornare alle urne per eleggere nuovamente governo e parlamento, che sono legati e collegati l’uno all’altro.

Un governo scelto dal popolo per un governo di legislatura. È un presidenzialismo più autentico, per così dire, perché elegge il capo del governo e non il capo dello stato; ma avrebbe una sua flessibilità per il tramite del rapporto fiduciario tra governo e parlamento, che potrebbe interrompersi qualora quest’ultimo decidesse di voltare la sfiducia al capo del governo, con il risultato però di auto-sciogliersi e tronare alle urne per il governo e per il parlamento. Quindi, si tratterebbe di un’evoluzione del sistema parlamentare, di cui conserva il rapporto fiduciario, che si sviluppa nel senso di garantire stabilità e restituire centralità alla sovranità popolare. Per avere governabilità senza comprimere la rappresentanza. 

*Tommaso Edoardo Frosini è Professore ordinario di Diritto pubblico comparato e Direttore del dipartimento di giurisprudenza dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Dal 1999 al 2007 ha insegnato Diritto costituzionale e Diritto pubblico comparato nell’Università di Sassari. Dal 2006 al 2009 è stato componente della Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero. È Vicepresidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche e Presidente onorario dell’Associazione di diritto pubblico comparato ed europeo. 
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