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Assalto finale a Gaza City: il fuoco accelera e il mondo si spacca

- di: Jole Rosati
 
Assalto finale a Gaza City: il fuoco accelera e il mondo si spacca
Assalto finale a Gaza City: il fuoco accelera e il mondo si spacca
TanCKs, raid, accuse internazionali: tra le macerie civili e la diplomazia che scricchiola.

Gaza City è di nuovo l’epicentro del conflitto: l’offensiva israeliana si è trasformata in una spinta congiunta da terra, aria e mare, con reparti corazzati e fanteria che avanzano tra i quartieri ridotti in rovine. Mentre sui social rimbalzano immagini di incendi e crolli, il lessico di queste ore racconta un’operazione concepita per spezzare le ultime difese e dimostrare che non ci saranno passi indietro.

Gaza City sotto assedio: l’offensiva si allarga

La fase “principale” dell’operazione è entrata a regime: il nord e il nord-est della città sono stati martellati, le arterie di fuga sono insicure e la popolazione civile paga il prezzo più alto. Il bilancio dei morti delle ultime ore resta provvisorio: tra i palazzi sventrati si cercano sopravvissuti, ma il suono più frequente è quello dei mezzi di soccorso che non bastano mai.

Civili in fuga tra costi proibitivi e paura

Chi tenta di spostarsi verso sud affronta una roulette quotidiana. Si parla di passaggi a pagamento verso l’area umanitaria di Al Mawasi, con famiglie che vendono gli ultimi beni per comprarsi un tragitto. Gli ospedali riferiscono di turni infiniti, sale d’emergenza colme, camici che lavorano sotto i colpi. Come ha raccontato un primario di Gaza City, “le bombe qui non si fermano per un minuto”, una frase che restituisce l’ordinarietà dell’orrore.

Netanyahu sfida le critiche: linea dura senza cedimenti

Benjamin Netanyahu ha definito “ipocriti” coloro che condannano l’azione d’Israele, rivendicando il sostegno degli Stati Uniti e ribadendo la continuità strategica. Ha inoltre giustificato il recente attacco in Qatar con i presunti legami di quell’emirato con Hamas. Sul fronte interno, il premier respinge le letture di dissidi con i vertici militari, sostenendo che certe frasi vengano estrapolate e complichino la gestione della guerraNetanyahu, infatti, sa di poter contare sull'appoggio incondizionato di Trump, espresso con qualche ipocrisia ma netto e chiaro: i palestinesi vanno eliminati, sradicati del tutto.

Gli ostaggi come ago della bilancia

Nel suo messaggio più duro, il primo ministro ha avvertito i leader di Hamas che “se torceranno anche un solo capello a un solo ostaggio, gli daremo la caccia con maggiore forza fino alla fine della loro vita”, attribuendo a questa minaccia il ruolo di deterrenza. Ma ogni nuova ondata di raid fa crescere il timore che proprio gli ostaggi possano diventare le vittime più imminenti di un’escalation ormai a regime.

Un fronte israeliano meno compatto

La crepa nella narrazione della compattezza si è vista persino in eventi pubblici: artisti e producer si sono presentati con magliette “Stop the war” e “A child is a child”. La rabbia dei familiari degli ostaggi – 48 tra vivi e morti, secondo i conteggi più ricorrenti – è tornata a farsi sentire su media e tv. Non è una marea, ma è un segnale: il consenso inizia a scalfirsi.

Diritti, accuse e diplomazia in frantumi

Le istituzioni internazionali alzano la voce mentre le ONG parlano di catastrofe umanitaria imminente. Il rischio è che questa fase dell’offensiva cristallizzi un isolamento politico a cui sarà difficile porre rimedio a giochi chiusi. La pressione legale sul governo israeliano – con l’ombra di crimini di guerra e responsabilità individuali – non è più un’ipotesi teorica: può tradursi in dossier e procedimenti.

Scenari prossimi: una vittoria senza pace

Anche se l’operazione dovesse raggiungere i suoi obiettivi militari, resta il problema irrisolto della ricomposizione politica. Senza un’architettura credibile per il “dopo”, la vittoria tattica rischia di alimentare il conflitto a medio termine. E intanto aiuti, acqua, cibo e medicine scarseggiano dove servono di più, trasformando l’oggi in un domani ancora peggiore.

L’ultima battaglia contro la diplomazia

Questa non è solo un’offensiva: è la resa dei conti con la credibilità. Quando la guerra divora la tutela dei civili, si smarrisce anche la legittimazione internazionale. Netanyahu gioca la carta della determinazione assoluta, ma il prezzo è umano e strategico. Se la guerra non avvicina la pace, qual è il suo scopo? 

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