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L’Europa guarda allo spazio: l’Esa cerca 22 miliardi per non restare indietro

- di: Alberto Venturi
 
L’Europa guarda allo spazio: l’Esa cerca 22 miliardi per non restare indietro

A Brema, tra due giorni, i ministri dello Spazio dei 23 Paesi membri dell’Esa si ritroveranno attorno allo stesso tavolo per decidere quanto l’Europa voglia davvero contare nel cosmo del prossimo decennio. Vanno approvati i finanziamenti fino al 2028.

L’Europa guarda allo spazio: l’Esa cerca 22 miliardi per non restare indietro

Sul tavolo c’è una cifra che racconta molto più di un bilancio: 22 miliardi di euro, una richiesta che l’Agenzia ha costruito in due anni di confronto serrato, convinta che il momento storico non ammetta esitazioni. «Sceglieremo l’ambizione o cederemo terreno?», dice una fonte vicina al dossier. Perché la sfida – al netto dei numeri – è soprattutto politica.

Un continente che pesa sempre meno nella nuova corsa allo spazio

Josef Aschbacher, direttore generale dell’Esa, lo ripete da mesi: «L’Europa vale circa il 10% dell’economia spaziale mondiale». Una percentuale in discesa, soprattutto se affiancata al 60% degli Stati Uniti o al 15% della Cina. Il resto lo coprono attori privati che corrono veloci: SpaceX, Blue Origin, nuovi competitor che immettono sul mercato soluzioni riutilizzabili e capitali quasi illimitati. Nel frattempo, l’Europa discute su come finanziare i propri programmi mentre la crescita globale del settore viaggia attorno al 10% annuo. Ecco perché la ministeriale tedesca è diventata, quasi naturalmente, una sorta di esame di maturità.

Un budget realistico? L’Agenzia ne attende almeno 20 miliardi

La storia recente suggerisce un esito possibile: nelle precedenti riunioni, l’Esa ha ottenuto in media il 90% delle risorse richieste. Dunque, da 22 miliardi la sottoscrizione finale potrebbe arrivare intorno ai 20 miliardi, comunque in aumento rispetto ai 17 miliardi della ministeriale 2022. Cifre che permetterebbero di sostenere programmi sempre più interconnessi con sicurezza, clima e infrastrutture digitali. Perché lo spazio non è più solo esplorazione: è parte della catena produttiva dell’economia europea, dall’agricoltura di precisione alla gestione delle emergenze.

Sicurezza e resilienza: lo zoccolo duro della proposta
Nel pacchetto di Brema c’è un programma dal nome eloquente: European Resilience from Space (ERS). Vale 750 milioni, ed è pensato per rafforzare la capacità dell’Europa di reagire a crisi e shock esterni, sostenendo direttamente la Commissione europea. Una strategia che lega la politica spaziale alla sovranità digitale e alla sicurezza. A questo si aggiungono gli asset già operativi: Copernicus (osservazione della Terra), Galileo (navigazione), IRIS2 (comunicazioni satellitari sicure). Tutti programmi che Bruxelles considera essenziali, tutti con un impatto industriale immediato.

L’esplorazione continua: l’Europa accelera su Argonaut
La settimana scorsa, l’Agenzia ha annunciato un passo in avanti atteso da anni: la costruzione del lander lunare Argonaut, che dovrebbe volare nel 2030. Il progetto è stato affidato a un consorzio europeo guidato da Thales Alenia Space, realtà franco-italiana che da anni è tra i protagonisti del settore. Argonaut è una delle scommesse simboliche dell’Esa: un segnale politico all’interno di una corsa alla Luna sempre più affollata, tra ambizioni statunitensi, rientro cinese e nuovi attori privati. Rimane invece fuori dall’agenda – almeno formalmente – il capitolo dei voli umani: gli studi non sono maturi, spiegano dall’Agenzia.

L’accesso indipendente allo spazio, la vera crepa del sistema
Il nodo più delicato resta quello dei lanciatori. L’Europa è in ritardo, e lo sa. «Dobbiamo recuperare terreno rispetto a un attore dominante come SpaceX e arrivare sul mercato con un lanciatore riutilizzabile in tempi brevi», ribadisce Aschbacher. Senza un vettore competitivo e autonomo, la capacità europea di garantire continuità ai propri programmi rischia di indebolirsi. E questa consapevolezza sta diventando una preoccupazione politica: non è soltanto una questione tecnica, ma un tema di sovranità.

Il programma scientifico: serve l’unanimità dei 23 Paesi
Il capitolo più complesso, come sempre, è quello del programma scientifico. È l’unico per cui serve l’unanimità: 23 voti su 23. E riguarda missioni fondamentali, dalla formazione dell’Universo allo studio del sistema solare, fino alle domande sulla vita e sulle leggi fisiche di base. Senza un via libera completo, una parte della programmazione rischia il rallentamento. E in un settore in cui Stati Uniti e Cina investono senza esitazioni, ogni mese perso diventa terreno ceduto.

Gli equilibri interni: ora è la Francia a perdere peso
A pesare non sono solo i numeri complessivi, ma anche la distribuzione interna degli investimenti. «Ci sono indicatori che mostrano che la Francia sta perdendo terreno rispetto a Germania e Italia», spiega Pierre Lionnet, direttore ricerca di Eurospace. «Un fenomeno senza precedenti». Un cambiamento che riflette il contesto economico del continente e apre interrogativi sugli equilibri futuri dell’Agenzia. Se Parigi arretra, l’asse europeo si ridisegna.

Una scelta politica prima che tecnica
La ministeriale di Brema appare, nelle parole di chi la sta preparando, come un crocevia. Non si tratta più soltanto di finanziare programmi o infrastrutture, ma di decidere se l’Europa vuole restare un attore dello spazio o diventare un cliente. Cinquant’anni dopo la nascita dell’Esa, il bivio è evidente: investire per recuperare terreno o accettare che la corsa spaziale del futuro sarà guidata da altri. E questa volta non ci saranno margini per rimandare.

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