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Europa sotto schiaffo tra Trump e Putin: doppio attacco alla Ue

- di: Vittorio Massi
 
Europa sotto schiaffo tra Trump e Putin: doppio attacco alla Ue

L’Europa non è al tavolo: è la pietanza principale della grande spartizione del mondo.

(Foto: una manifestazione per l'Europa).

L’immagine è brutale, ma è quella giusta: mentre Washington e Mosca si parlano da potenze, l’Europa è la pietanza servita al centro del tavolo. Donald Trump firma una nuova strategia di sicurezza nazionale che descrive il Vecchio continente come una civiltà in declino, a rischio di “sparire”. Il Cremlino applaude, definendo il cambio di rotta americano “coerente” con la visione russa. È il segnale plastico di un doppio attacco coordinato: Trump vuole un’Europa impaurita e dipendente, che paga il conto; Putin punta a un’Europa divisa, fragile, facilmente intimidibile.

Nel mezzo, i governi europei balbettano. L’ex premier Paolo Gentiloni parla apertamente di «epitaffio sulle relazioni transatlantiche e sentenza di divorzio dall’Europa». Carlo Calenda giudica questo «il periodo più drammatico dal 1945» e avverte che «il rischio di una guerra dentro l’Europa è concreto». Angelo Bonelli denuncia un asse Trump-Putin con la complicità della destra europea che mira a smantellare l’Unione, a colpi di gas, Gnl, disinformazione e assalto alle regole democratiche. E la premio Nobel per la Pace Oleksandra Matvijchuk avverte: Putin non vi darà tempo, «la guerra è già arrivata in Europa».

È un momento nero. E l’Europa, tra calcoli di bottega, divisioni, piccoli opportunismi, rischia di fare la cosa più irresponsabile possibile: continuare come se nulla fosse.

L’Europa pietanza sul tavolo del nuovo ordine mondiale

La nuova National Security Strategy 2025, 33 pagine firmate da Trump, cambia i pesi del mondo. L’Europa viene descritta come un’area in “declino”, incapace di difendere la propria identità e minacciata da una sorta di “erosione della sua civiltà”. Non è solo un giudizio duro: è una delegittimazione politica. Il messaggio di Washington è chiaro: l’Europa non è più alleato strategico, ma problema da correggere, spazio da riportare all’ordine, mercato che conta solo se compra armi, energia e tecnologie americane.

Questa visione è perfettamente allineata alla cultura politica del movimento Maga: nel documento-manifesto della Heritage Foundation, il famoso Project 2025, l’Unione europea è indicata come il principale baluardo contro i nazionalismi, dunque come ostacolo da indebolire. Gentiloni lo dice senza giri di parole: il nuovo corso Usa è costruito per colpire l’Unione nel suo ruolo di argine democratico.

Se l’Europa è dipinta come un corpo malato, la cura proposta da Washington è brutale: o riallineamento totale alle priorità americane (difesa, energia, regole digitali, Cina) o marginalizzazione. E intanto, sul fronte esterno, la stessa strategia cerca un’intesa con Mosca sulla guerra in Ucraina, nel nome di una “stabilità strategica” che rischia di passare direttamente sopra la testa degli europei.

Mosca applaude: «La strategia Usa è coerente con la nostra visione»

A chi ancora si illude che Trump e Putin siano avversari strutturali, il Cremlino ha fornito una smentita secca. Il portavoce Dmitrij Peskov ha salutato gli “aggiustamenti” della strategia Usa affermando che sono «in gran parte coerenti con la nostra visione» e che potrebbero consentire «un lavoro congiunto costruttivo» per una soluzione della guerra in Ucraina.

Tradotto: Mosca vede nella nuova postura americana una conferma del proprio obiettivo politico, non un ostacolo. Il documento non definisce più la Russia come “minaccia esistenziale”, ma come attore con cui si può tornare a trattare. In più, critica frontalmente l’Unione europea, accusandola di eccessi regolatori, di frenare l’innovazione, di censura digitale, di crisi demografica e culturale.

È precisamente il mondo capovolto che Putin sogna: i Paesi europei ridotti a periferia litigiosa, senza voce propria sulla sicurezza, sulla guerra e sulla pace, mentre gli equilibri si decidono tra Washington e Mosca, magari con Pechino sullo sfondo. In questa logica, non serve annientare militarmente l’Europa: basta svuotarne il peso politico e spezzarne l’unità.

Gas, Gnl, clima: perché a Trump e Putin conviene un’Europa debole

Il cuore del problema lo mette in fila, con lucidità brutale, Angelo Bonelli (Alleanza Verdi e Sinistra). Commentando le parole di Peskov, il deputato parla di «prova provata» che Trump e Putin vogliono «demolire politicamente l’Europa». Secondo Bonelli, l’asse tra i due non punta a cancellare la Ue con i carri armati, ma a eroderne le regole democratiche e le politiche che danno fastidio ai grandi interessi fossili: transizione ecologica, Green Deal, norme sulle emissioni, Digital Services Act contro l’odio e le fake news online.

Da un lato, Trump è il grande promotore del Gnl americano, che vuole vendere a un’Europa energivora ma divisa. Dall’altro, la Russia dispone di enormi riserve di gas che restano la principale arma geopolitica di Mosca. Insieme, questi due poli hanno tutto l’interesse a rallentare o sabotare la transizione verde europea: meno rinnovabili, più dipendenza da gas e petrolio, più leva di ricatto sui governi nazionali.

Bonelli ricorda anche che la destra globale, compresa quella di Giorgia Meloni, è parte di questo disegno: dai trumpiani negli Usa agli ultraconservatori europei, fino ai leader apertamente filorussi come Viktor Orbán, si costruisce una rete politica che ha un obiettivo chiaro: disgregare l’Unione per trasformare i singoli Stati in satelliti, chi di Washington, chi di Mosca.

Gentiloni: «È un epitaffio sull’Alleanza atlantica»

Paolo Gentiloni, ex premier ed ex commissario Ue, non usa giri di parole. La nuova strategia Usa, spiega in un’intervista, è «un epitaffio sulle relazioni transatlantiche e una sentenza di divorzio dall’Europa». Le ragioni? Prima di tutto l’ideologia Maga, alimentata da think tank come la Heritage Foundation, che in Project 2025 teorizzano apertamente il ridimensionamento dell’Unione europea. Poi un elemento più personale e politico: Trump vede nell’Europa la proiezione dei suoi “nemici interni” liberal-progressisti e scarica sul Vecchio continente tutto ciò che detesta sul fronte dei diritti, dell’ambiente, del pluralismo.

Gentiloni avverte anche la premier italiana Giorgia Meloni: minimizzare questa svolta, scegliere l’inerzia, potrebbe significare ritrovarsi «in mezzo al mare mentre avviene la deriva dei continenti», con Europa e America che si allontanano proprio mentre si riaccendono i venti di guerra. È un richiamo diretto: il tempo dell’adulazione automatica del presidente Usa è finito. O l’Europa alza la testa, o scivola in un ruolo subalterno definitivo.

Calenda: «Periodo più drammatico dal 1945, rischio guerra in Europa»

Se Gentiloni sottolinea la rottura politica, Carlo Calenda mette il faro sul rischio militare. In un’intervista al Corriere della Sera del 7 dicembre, il leader di Azione definisce l’attuale fase «il periodo più drammatico dal 1945» e spiega che «il rischio di una guerra dentro l’Europa è concreto».

Secondo Calenda, con la nuova strategia americana «l’Alleanza atlantica è stata di fatto rotta», mentre contemporaneamente a Europa viene chiesto di prendersi in carico la componente convenzionale della Nato dal 2027, proprio mentre la Russia intensifica attacchi e pressioni. Putin, avverte, potrebbe puntare a un attacco dimostrativo per provare che la Nato non esiste più e che i Paesi europei non hanno la volontà di difendersi.

Da qui la sua proposta: anticipare il passaggio di consegne della Nato all’Europa, costruire una vera difesa comune e adottare uno “scudo democratico” contro la guerra ibrida: trasparenza sui finanziamenti esteri, controllo sulle campagne di disinformazione, regole più dure per chi usa i media come megafono della propaganda del Cremlino.

Calenda arriva a dire di essere «convinto che in Italia ci sia chi riceve finanziamenti dalla Russia di Putin», riferendosi a figure politiche che in televisione ripetono la linea russa sulla guerra. Non fa nomi, ma indica due forze che si oppongono allo scudo democratico: Movimento 5 Stelle e Lega. Parole pesanti, che fotografano una realtà: le quinte colonne di Mosca e dell’asse Trump-Putin non sono un’ipotesi astratta, ma un problema politico interno.

Matvijchuk: «La guerra è già qui. Putin non vi darà tempo»

Mentre le capitali europee discutono e si dividono, chi vive la guerra sulla propria pelle non ha dubbi. Oleksandra Matvijchuk, giurista ucraina e premio Nobel per la Pace 2022, al summit Grand Continent in Valle d’Aosta avverte che la guerra è già arrivata in Europa, ma molti europei non se ne sono ancora accorti.:contentReference[oaicite:7]{index=7}

Per Matvijchuk, la Ue e gli Usa finora hanno soprattutto aiutato Kiev a non crollare, non a vincere. Troppo lenti sui carri armati, sugli aerei, sulle armi a lungo raggio. Troppo prudenti sulle sanzioni e sull’uso degli asset russi congelati. La sua lettura è glaciale: «C’è una differenza enorme tra aiutare l’Ucraina a non fallire e aiutarla a vincere». E se l’Europa continua a temere più l’“escalation” che la sconfitta di Kiev, il conto arriverà a casa nostra.

Matvijchuk insiste su un punto ignorato nel dibattito occidentale: Putin non vuole la pace, vuole tempo. Tempo per riorganizzare l’esercito, riarmarsi, provare a spezzare il fronte occidentale, infiltrare politica e media europei. E lancia un avvertimento diretto: se non riuscirete a fermarlo in Ucraina, «i prossimi sarete voi». Georgia, paesi baltici, Moldova, perfino membri della Nato: gli scenari sono noti agli analisti da anni. Ora sono sulla soglia.

Europa sotto schiaffo: tra vassallaggio e rischio di nuovi attacchi

Il quadro che emerge è limpido, anche se molti fanno finta di non vederlo:

  • Trump punta a un’Europa che non sia più soggetto politico, ma mercato subordinato, acquirente obbligato di energia, armi, tecnologia Usa.
  • Putin lavora da anni per un’Europa spezzata in sfere di influenza, con Paesi trasformati in vassalli, spaventati dal gas, dai droni, dalle minacce militari.
  • La destra radicale europea, dal trumpismo di importazione agli amici di Mosca, agisce da quinta colonna interna, mettendo in discussione sanzioni, sostegno a Kiev, integrazione europea, regole sul digitale e sul clima.

Nel mezzo, l’Unione europea rischia di diventare ciò che i due poli vogliono: una somma di Stati fragili, ricattabili, pronti a scambiarsi piccole protezioni in cambio di grandi rinunce strategiche. Mentre si discute di percentuali di bilancio, nessuno affronta a viso aperto le domande centrali:

  • siamo disposti a costruire una vera difesa europea o preferiamo illuderci che la Nato esista ancora come prima?
  • vogliamo difendere il modello sociale europeo o accettiamo un lento impoverimento in cambio di gas a poco prezzo e accordi bilaterali?
  • lasceremo che le nostre democrazie siano erose da campagne di odio, menzogne online, finanziamenti opachi, oppure istituiremo finalmente uno scudo democratico comune?

La crisi del Vecchio continente: paura, sottomissione e impoverimento

Il rischio non è teorico. Se l’Europa continua a farsi mettere all’angolo, lo scenario per i prossimi anni è scritto:

  • sottomissione strategica: Paesi costretti a scegliere se essere “protettorati” Usa o “clienti” di Mosca e Pechino;
  • paura permanente: allarmi droni, cyberattacchi, minacce ibride, esercitazioni militari ai confini, tensioni nei cieli e nei mari europei;
  • impoverimento sociale ed economico: più spesa militare senza coordinamento, meno investimenti comuni, rincari energetici, fuga di capitale umano e innovazione verso Usa e Asia.

Gli europei assistono spesso attoniti al disfacimento politico dell’Unione: veti incrociati, governi che cercano la sponda di Trump o di Putin contro Bruxelles, forze politiche che fanno campagna interna sul cavallo di Troia del “no alle armi” e del “pace subito” mentre Mosc a continua a bombardare Kiev. La narrazione è seducente: basta smettere di aiutare l’Ucraina e tornerà la pace. La realtà è l’opposto: basta smettere di aiutare l’Ucraina e la guerra arriverà in casa nostra.

Quinte colonne e piccoli calcoli: così l’Europa si consegna

In questo quadro, il fattore più inquietante non sono né Trump né Putin. Siamo noi. Sono le nostre piccole furbizie. I governi che tacciono per non disturbare l’alleato di turno. I partiti che giocano con il fuoco della propaganda filorussa pur di racimolare consenso interno. I leader che fingono di non vedere Project 2025 o gli applausi del Cremlino alla strategia Usa, e continuano con le foto di rito nelle capitali.

Le quinte colonne non sono solo i nostalgici di Mosca o gli urlatori complottisti. Ci sono anche i rispettabili professionisti del “business as usual”, i tecnici che invitano a «non esagerare», i commentatori che minimizzano la portata degli attacchi alla Ue. È questa rete di autoindulgenza che rende il Vecchio continente vulnerabile.

O reagiamo ora, o perdiamo tutto: democrazia, pace, benessere

Questo è il punto: non ci stiamo giocando un dettaglio di politica estera, ma il pacchetto completo. Democrazia, pace, benessere. Tutto insieme.

Se l’Europa accetta di continuare in questo sonno ipnotico, il risveglio sarà durissimo. Possibili scenari nei prossimi anni:

  • un’Europa con difesa spezzettata, incapace di reagire a un incidente o a un attacco dimostrativo ai confini;
  • una Ue dove i governi filo-Trump e filo-Putin bloccano ogni decisione comune su Ucraina, sanzioni, energia, difesa;
  • una società più povera e più arrabbiata, terreno ideale per populismi e leader autoritari che promettono ordine in cambio di libertà.

L’alternativa esiste, ma non è indolore: costruire davvero un pilastro europeo della sicurezza, finanziare in modo serio difesa comune e transizione energetica, colpire duramente la guerra ibrida e la corruzione politica, uscire dalla dipendenza da gas e combustibili fossili russi e mediorientali, difendere senza complessi le regole su digitale, diritti, clima.

L’Europa deve smettere di essere la pietanza sul tavolo e tornare a essere almeno uno dei commensali. Non ci sarà una seconda occasione. Chi continua a fingere che tutto questo sia esagerato, che «non succederà davvero», sta facendo esattamente ciò che l’asse Trump-Putin si aspetta: sta preparando il terreno perché il Vecchio continente venga servito, caldo, sul piatto principale della storia.

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