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Ex Alitalia, 1.997 licenziamenti: il costo economico di una scelta non industriale

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Ex Alitalia, 1.997 licenziamenti: il costo economico di una scelta non industriale

Con l’invio delle lettere di licenziamento collettivo a 1.997 dipendenti, si chiude definitivamente il lungo ciclo industriale di Alitalia–CityLiner, in amministrazione straordinaria dal 2017.
La decisione del Governo di non prorogare la Cassa Integrazione Straordinaria (Cigs) segna il passaggio da una gestione di crisi industriale a una gestione puramente assistenziale, affidata a Naspi e Fondo di Solidarietà del Trasporto Aereo (FSTA).

Ex Alitalia, 1.997 licenziamenti: il costo economico di una scelta non industriale

Formalmente, la misura riduce l’impegno diretto del Ministero dell’Economia nel finanziamento dell’ex compagnia, ma sul piano macroeconomico non comporta un risparmio netto per la finanza pubblica. Il costo si sposta dal bilancio industriale a quello sociale, con minori entrate contributive e maggiori oneri per ammortizzatori.

Effetti economici e produttivi
Secondo stime elaborate su base Inps e dati del comparto aereo, il costo medio di un lavoratore in Naspi per 18 mesi è comparabile al costo della prosecuzione della Cigs, ma senza ritorni produttivi.
Il risultato è una spesa improduttiva che riduce la base contributiva del settore e disperde un patrimonio di competenze tecniche formato in decenni.

Il personale ex Alitalia, in larga parte composto da piloti, manutentori e tecnici di volo con certificazioni Easa, rappresenta una delle risorse più qualificate del mercato europeo. Tuttavia, l’assenza di politiche di reinserimento o incentivi all’assorbimento da parte delle compagnie attive in Italia rende questo capitale umano inattivo o destinato all’estero.

Il confronto europeo
Il paradosso emerge dal confronto con gli altri Paesi dell’Unione.
Tra il 2023 e il 2025, Lufthansa, Air France–KLM, IAG e Ryanair Group hanno avviato campagne di assunzione per oltre 25 mila addetti, concentrandosi proprio su profili con esperienza pluriennale.
In Germania e Francia, i governi hanno sostenuto piani di retraining e reimpiego del personale aeronautico per fronteggiare la carenza di piloti e tecnici di manutenzione, oggi uno dei colli di bottiglia più critici per il trasporto aereo europeo.

L’Italia, invece, si muove in controtendenza: mentre la domanda di personale cresce, decide di chiudere l’ultimo presidio di professionalità pubbliche del settore.
Il rischio è una fuga di competenze verso vettori stranieri, con perdita di valore aggiunto e formazione finanziata nel tempo da risorse pubbliche italiane.

ITA Airways e la prospettiva industriale
Il nuovo vettore ITA Airways, controllato al 41% da Lufthansa Group, prosegue la sua strategia di razionalizzazione. Nei primi nove mesi del 2025 ha trasportato 12,6 milioni di passeggeri, con un load factor medio dell’83,4% e ricavi per 2,17 miliardi di euro.
L’obiettivo dichiarato del management è il pareggio operativo entro fine anno e l’avvio, dal 2026, di una nuova fase di crescita sotto l’influenza tedesca.

Il piano, tuttavia, non prevede un riassorbimento sistematico dell’ex personale Alitalia. L’approccio è quello di un’azienda di mercato, con logiche di costo e produttività, non di continuità occupazionale.
L’assenza di una politica industriale nazionale di accompagnamento lascia così scoperto un segmento strategico dell’occupazione ad alta specializzazione.

Un costo di sistema, non solo occupazionale
La chiusura dell’ex Alitalia non incide solo sul numero dei dipendenti, ma su un ecosistema produttivo che include manutenzione, formazione, logistica e servizi aeroportuali.
Ogni posto di lavoro diretto nel trasporto aereo genera, in media, 2,3 posti indiretti nella filiera, secondo i dati di Eurocontrol. La dispersione di 2.000 lavoratori esperti rischia quindi di tradursi in 4-5 mila posizioni perse complessivamente, tra subfornitori e servizi connessi.

Nel medio periodo, il saldo netto per lo Stato potrebbe risultare negativo, sia per effetto delle nuove spese sociali sia per la contrazione di competenze in un settore ad alta produttività.

Una scelta che isola l’Italia
Mentre il trasporto aereo europeo punta sulla specializzazione del capitale umano per sostenere la transizione energetica e digitale (biocarburanti, intelligenza artificiale, manutenzione predittiva), l’Italia sembra arretrare su questo fronte.
La decisione di chiudere la vertenza Alitalia senza strumenti di reindustrializzazione o reinserimento del personale non solo indebolisce il mercato interno, ma riduce la capacità del Paese di competere nei settori ad alto contenuto tecnologico.

Il costo dei licenziamenti, dunque, non si misura solo in termini di welfare, ma in perdita di produttività nazionale e declino di know-how in uno dei comparti più globalizzati dell’economia europea.

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