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Ex Ilva, nuova gara e tre scenari per il futuro dell’acciaio a Taranto

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Ex Ilva, nuova gara e tre scenari per il futuro dell’acciaio a Taranto

Sembrava tutto deciso. A marzo 2025 la nuova privatizzazione dell’ex Ilva, oggi Acciaierie d’Italia, aveva trovato negli azeri di Baku Steel i migliori offerenti, preferiti agli indiani di Jindal Steel. Ma il percorso che appariva in discesa si è complicato passo dopo passo fino a trasformarsi in una nuova attesa. Con l’annuncio del governo, la gara non è stata annullata, bensì aggiornata, ma nei fatti il rinvio porta al 2026. Se infatti il bando dovrebbe chiudersi entro ottobre, restano i passaggi obbligati davanti all’Antitrust e alla normativa sul Golden power. Solo all’inizio del prossimo anno si potrebbe assistere al passaggio definitivo ai nuovi investitori.

Ex Ilva, nuova gara e tre scenari per il futuro dell’acciaio a Taranto

La nuova gara ruoterà attorno a un obiettivo: sostituire i vecchi impianti a carbone con forni elettrici, avviando una riconversione green dell’ex Ilva. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha ribadito che la decarbonizzazione non è più una scelta ma una necessità, anche per rispettare le regole europee e ridurre l’impatto ambientale di un impianto che da decenni pesa sulla salute di Taranto e del suo territorio. Tuttavia, se il principio della transizione energetica raccoglie consensi, i dettagli del piano dividono governo, enti locali e sindacati.

Opzione A: la transizione totale
Il primo scenario, definito opzione A, prevede la costruzione di tre forni elettrici a Taranto e quattro impianti di preriduzione (Dri, direct reduced iron), uno dei quali a Genova, destinati a produrre il materiale grezzo necessario. A questi si aggiungerebbero quattro impianti di cattura e stoccaggio della CO₂. La transizione completa richiederebbe circa otto anni, con impianti pronti entro il 2033, e un fabbisogno di 5,1 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Per sostenere tali consumi servirebbe una nave rigassificatrice ormeggiata a Taranto, ipotesi che divide la comunità locale e suscita perplessità ambientali.

Opzione B: meno gas, più rischio occupazione
La seconda opzione riduce la complessità industriale: solo i tre forni elettrici resterebbero a Taranto, mentre gli impianti di preriduzione verrebbero costruiti altrove, probabilmente a Gioia Tauro. In questo modo il fabbisogno di gas scenderebbe a 1,4 miliardi di metri cubi annui al 2032, evitando la necessità di una nave rigassificatrice. Ma il prezzo da pagare sarebbe un impatto occupazionale più pesante per Taranto, con minori attività produttive sul territorio e conseguenze sociali difficili da gestire in una città che da decenni vive in bilico tra lavoro e salute.

Opzione C: la via del Comune
Il sindaco di Taranto, dopo un periodo di tensioni e dimissioni poi rientrate, ha riportato al tavolo ministeriale una terza opzione. Il piano C prevede tre forni elettrici, un impianto Dri e un impianto di cattura e stoccaggio della CO₂. Un compromesso che elimina la necessità della nave rigassificatrice, mantenendo però un fabbisogno di gas vicino ai 2 miliardi di metri cubi annui, al limite della sostenibilità. L’idea del Comune mira a difendere occupazione e ricadute industriali locali, senza rinunciare agli obiettivi di decarbonizzazione.

L’attesa del nuovo tavolo
Il 12 agosto è previsto un nuovo incontro al ministero, in cui potrebbe arrivare la firma dell’accordo di programma per la decarbonizzazione. Ma restano forti divisioni. Governo, enti locali e potenziali investitori hanno visioni diverse sulla scala degli interventi e sui tempi. Il nodo, oltre agli impianti, resta quello dei costi: le stime parlano di decine di miliardi da investire, in un contesto europeo ed energetico in continua evoluzione.

Taranto tra speranze e timori
Per la città pugliese, l’ennesimo rinvio alimenta frustrazione. Da oltre sessant’anni la comunità vive sospesa tra la necessità del lavoro e il peso sanitario e ambientale di un’acciaieria che ha segnato intere generazioni. La promessa di una svolta verde rappresenta una speranza concreta, ma ogni incertezza rischia di trasformarla nell’ennesima illusione. La nuova gara, con i suoi scenari contrapposti, dirà se il futuro dell’ex Ilva potrà finalmente uscire dal limbo o se resterà ancora intrappolato tra emergenze e rinvii.

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