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Ex Ilva, il giorno della scelta (con i conti che non tornano)

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Ex Ilva, il giorno della scelta (con i conti che non tornano)

Oggi è il giorno dell’indicazione dell’offerta migliore per l’ex Ilva. Tocca al ministro delle Imprese Adolfo Urso autorizzare i commissari di Acciaierie d’Italia ad avviare la trattativa in esclusiva con uno dei due soggetti rimasti in gara: Flacks Group o Bedrock Industries.

Ex Ilva, il giorno della scelta (con i conti che non tornano)

Formalmente è una scelta tecnica. Sostanzialmente è una decisione che parla ai mercati, agli investitori e all’industria pesante europea. Perché l’ex Ilva non è solo una fabbrica in crisi: è un asset strategico, una voce rilevante nella bilancia commerciale dell’acciaio e un banco di prova della politica industriale italiana.

Due offerte, un rischio comune
Flacks e Bedrock arrivano a questo appuntamento con approcci diversi, ma con una consapevolezza condivisa: il valore dell’asset dipende dalla continuità produttiva. Senza volumi certi, senza impianti operativi, senza una roadmap industriale credibile, nessun piano finanziario regge.
Dal punto di vista economico, la partita è delicata. L’ex Ilva assorbe risorse pubbliche, brucia cassa, richiede investimenti ingenti per la transizione ambientale e produce in un mercato globale dell’acciaio sempre più competitivo, schiacciato tra dumping asiatico, costi energetici europei e nuove regole sulle emissioni. Chi compra non acquista solo impianti, ma rischio operativo.

Il no della Procura e l’impatto sui conti
Su questo scenario già fragile arriva la decisione della Procura di Taranto: no al dissequestro dell’Altoforno 1. I magistrati hanno respinto la richiesta dei legali di Acciaierie d’Italia di revocare i vincoli sull’impianto, considerato centrale per la capacità produttiva del sito.
Dal punto di vista economico, è un fattore chiave. L’Altoforno 1 non è solo un pezzo di impianto: è una leva sui costi, sui volumi, sulla redditività. Tenerlo fermo significa ridurre la produzione, aumentare il costo unitario dell’acciaio, comprimere i margini e rendere più fragile qualsiasi piano di rilancio. Tradotto: il rischio percepito dagli investitori aumenta, e con lui il prezzo che sono disposti a pagare diminuisce.

Industria e giustizia: il corto circuito
Il dossier ex Ilva continua a muoversi su due binari che non si incontrano. Da un lato la politica industriale, che cerca una soluzione di mercato per ridurre l’esposizione pubblica e salvaguardare occupazione e filiera. Dall’altro la magistratura, che esercita una funzione di controllo ambientale e di sicurezza, legittima ma economicamente dirompente.
Il risultato è un corto circuito strutturale: lo Stato chiede capitali privati, ma non è in grado di garantire certezza operativa. Un elemento che pesa non solo su Taranto, ma sull’attrattività complessiva del Paese per gli investimenti industriali ad alta intensità di capitale.

Il ruolo dello Stato azionista implicito
Anche dopo la scelta dell’offerta migliore, lo Stato resterà un attore centrale. Non solo come regolatore, ma come garante implicito di un sistema che senza interventi pubblici rischia di collassare. Gli investimenti ambientali, la messa in sicurezza degli impianti, la gestione degli esuberi e la transizione tecnologica richiedono risorse che difficilmente il solo mercato metterà sul tavolo.
Dal punto di vista dei conti pubblici, la partita è tutt’altro che chiusa. La vendita non cancella i costi accumulati né elimina il rischio di nuovi interventi finanziari. Al massimo, lo redistribuisce nel tempo.

Acciaio, competitività e transizione
C’è poi un nodo più ampio: la siderurgia europea. L’ex Ilva si muove in un contesto di domanda debole, prezzi volatili e pressione crescente sulla decarbonizzazione. Senza una strategia industriale coordinata — italiana ed europea — Taranto rischia di restare un caso isolato, condannato a rincorrere soluzioni emergenziali.
Per gli investitori, questo significa scommettere su un settore in trasformazione, con ritorni incerti e tempi lunghi. Non è un caso che le offerte arrivate siano prudenti, condizionate, piene di clausole.

Una scelta che non chiude la crisi
L’indicazione dell’offerta migliore, attesa oggi, non sarà una svolta definitiva. Sarà, nella migliore delle ipotesi, un passaggio intermedio. Con l’Altoforno 1 ancora sotto sequestro, la produzione limitata e il quadro giudiziario invariato, la sostenibilità economica dell’ex Ilva resta fragile.
Il rischio è che anche questa fase si traduca in un rinvio strutturale: un altro capitolo di una crisi che dura da oltre un decennio. Perché senza un accordo vero tra industria, ambiente e giustizia, l’ex Ilva continua a essere troppo grande per fallire, ma troppo complessa per tornare davvero profittevole.
E in economia, quando l’incertezza diventa permanente, il prezzo da pagare è sempre più alto.

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