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Farmaceutica italiana da record: export su, ora sfida è autonomia Ue

- di: Jole Rosati
 
Farmaceutica italiana da record: export su, ora sfida è autonomia Ue
Farmaceutica italiana da record: export su, ora la sfida è l’autonomia Ue

Numeri sprint, geopolitica nervosa e regole da riscrivere: il pharma chiede una corsia preferenziale per restare in Europa. 

(Foto: la preparazione di farmaci).

L’Italia del farmaco sta vivendo un 2025 che, a giudicare dai numeri, ha il passo di un treno ad alta velocità. Ma dietro la fotografia dell’export che corre, c’è un film più complicato: dipendenze strategiche su materie prime e principi attivi, norme europee in fermento, una catena di fornitura che scricchiola quando la geopolitica alza la voce, e un tema domestico che torna come un ritornello: il payback.

Un 2025 “molto positivo”: l’export fa da locomotiva

Il dato che sintetizza l’anno: nel periodo gennaio–ottobre 2025 le esportazioni farmaceutiche italiane hanno raggiunto 58,8 miliardi di euro, con un balzo di circa +33,7% rispetto allo stesso intervallo del 2024. Una performance che, nelle letture di settore, colloca il pharma tra i comparti più dinamici dell’industria nazionale.

La mappa dei mercati racconta un doppio binario: da un lato l’Europa resta il grande sbocco commerciale, dall’altro gli Stati Uniti accelerano come cliente-chiave. In parallelo, rimangono significativi i canali con la Svizzera e altri mercati selezionati, mentre la partita asiatica continua a essere importante ma non dominante sul lato export.

Il messaggio di Farmindustria: “sovranità” non è uno slogan

Dal punto di vista delle imprese, il punto non è festeggiare e basta. Marcello Cattani, presidente di Farmindustria, ha impostato il ragionamento su una parola che in Europa è diventata improvvisamente concreta: autonomia. Tradotto: ridurre le dipendenze esterne, soprattutto per ciò che serve a produrre.

Il bersaglio principale sono i principi attivi (Api) e alcuni anelli critici della produzione: una vulnerabilità che, quando si traduce in interruzioni di fornitura, finisce dritta sul tavolo dei pazienti e dei sistemi sanitari. L’idea di fondo è semplice: se il mondo si frammenta, la resilienza industriale diventa parte della sicurezza nazionale.

Perché la geopolitica entra nei flaconi

Le tensioni commerciali, le politiche industriali aggressive e la competizione tra blocchi spingono l’Europa a scegliere: stare a guardare o mettere incentivi e regole per riportare capacità produttiva dentro i confini Ue. È qui che il discorso sul “rischio investimenti” si fa duro: secondo valutazioni circolate nel dibattito pubblico, l’inasprimento regolatorio e fiscale, se percepito come ostile, potrebbe pesare su piani pluriennali nell’ordine di decine di miliardi.

La risposta Ue: dal “pacchetto farmaceutico” ai medicinali critici

Nel 2025 Bruxelles ha accelerato su più fronti. Da una parte, il negoziato sul riordino della legislazione farmaceutica mira a combinare competitività e accesso più rapido dei pazienti. Dall’altra, la Commissione ha messo sul tavolo il Critical Medicines Act, pensato per rafforzare sicurezza di fornitura, capacità produttiva e diversificazione delle catene.

Il cuore del ragionamento europeo è pragmatico: se alcuni farmaci essenziali rischiano carenze, non basta affidarsi alla “mano invisibile” del prezzo. Servono strumenti per rendere conveniente produrre (o almeno assicurare) in Europa, soprattutto per categorie considerate strategiche.

Antibiotici e carenze: quando il prezzo non basta

Un punto sensibile è quello degli antibiotici e di altri medicinali essenziali, dove la concorrenza globale a basso costo ha spinto parte della produzione fuori dall’Europa. Diverse analisi e cronache industriali hanno mostrato come, senza correttivi, alcuni impianti europei fatichino a reggere la gara di prezzo con Asia e Stati Uniti.

Da qui la richiesta, avanzata anche a livello europeo, di rivedere appalti e gare: non solo “chi costa meno”, ma anche chi garantisce continuità, qualità e capacità di consegna in caso di crisi.

Il nodo italiano: risorse al Ssn, approvazioni più rapide e accesso uniforme

Sul fronte interno, l’agenda che le imprese ripetono è composta da tre voci: più risorse e programmazione per il Servizio sanitario nazionale, tempi più rapidi nei percorsi regolatori (a partire dai processi europei) e omogeneità regionale nell’accesso ai farmaci.

In altre parole: l’innovazione deve arrivare in corsia senza trasformarsi in una corsa a ostacoli diversa da Regione a Regione.

Payback: la tassa che fa litigare (e che tutti vogliono “superare”)

È il tema che, puntualmente, riaccende lo scontro: il payback, cioè i meccanismi di ripiano legati agli sforamenti di spesa. Nel dibattito 2025 il conto attribuito alle imprese viene descritto come molto pesante e, soprattutto, poco prevedibile.

In questo contesto entra il progetto di Testo unico sulla farmaceutica annunciato dal Ministero della Salute: l’idea, nelle intenzioni istituzionali, è riordinare un mosaico di norme e affrontare i punti più contestati, payback incluso. Le imprese spingono per una soluzione strutturale: meno incertezza significa più facilità nel pianificare investimenti in impianti e ricerca.

La grana “acque reflue”: ambiente sì, ma chi paga?

C’è poi un capitolo europeo che fa tremare i bilanci: la direttiva sulle acque reflue urbane, entrata in vigore a inizio 2025, che prevede l’introduzione di trattamenti avanzati per rimuovere microinquinanti e un’impostazione di responsabilità estesa del produttore per alcuni settori.

Il mondo pharma non contesta l’obiettivo ambientale, ma discute l’impianto: molte sostanze finiscono nelle acque non per la fabbrica, bensì per l’uso quotidiano dei cittadini. Da qui la domanda politica: quanto è equo attribuire la quota principale dei costi a due industrie? Un tema che, in vari Paesi, ha già prodotto frizioni e valutazioni legali.

Il 2026 e oltre: crescita possibile, ma servono regole “pro investimento”

La previsione circolata nelle dichiarazioni di settore è ottimista: se la traiettoria resta quella attuale, l’export potrebbe spingersi oltre soglie simboliche già nel 2026. Ma la condizione è chiara: per non trasformare un anno record in un picco isolato, servono scelte industriali.

Tradotto in un elenco operativo: incentivi credibili nel medio periodo, procedure più veloci, gare pubbliche che pesino anche la sicurezza di fornitura, e un quadro regolatorio europeo che non mandi il messaggio “qui investire è più difficile che altrove”. 

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