I femminicidi in Italia non sono eventi improvvisi né deviazioni occasionali: rappresentano un fenomeno strutturale, profondamente radicato nella cultura patriarcale e nella fragilità delle risposte istituzionali. A ogni donna uccisa segue un'ondata di indignazione pubblica, promesse politiche, parole forti sui social, ma i numeri restano spietati. Le vittime, spesso in fase di separazione o all’interno di relazioni segnate da anni di controllo e violenza psicologica, si contano a ritmo costante. Nei primi mesi del 2025, sono già oltre trenta le donne morte per mano di un partner o di un ex, in un contesto in cui troppo spesso i segnali d’allarme vengono sottovalutati o ignorati.
Femminicidi, un’emergenza nazionale che richiede risposte sistemiche
Le statistiche parlano chiaro: il momento della separazione è quello in cui la donna è più esposta al rischio di aggressioni, minacce e omicidi. È in questa fase che l’uomo, sentendosi privato del controllo sulla partner, reagisce in modo violento, spesso letale. I protocolli di allerta ci sono, ma funzionano a macchia di leopardo. Le forze dell’ordine faticano a intervenire con tempestività quando non vi sono denunce pregresse, e le donne che decidono di lasciare il proprio compagno lo fanno quasi sempre in un clima di solitudine, senza un reale supporto. I centri antiviolenza sono sovraccarichi, le case rifugio insufficienti, le risorse economiche stanziate lontane dall'essere strutturali.
La tragedia di Samarate: un copione già visto
In questo scenario drammatico si inserisce la tragedia consumata a Samarate, in provincia di Varese, dove Teresa Stabile, 55 anni, è stata uccisa a coltellate dal marito Vincenzo Gerardi, di 57, nel cortile della loro abitazione. I due erano in fase di separazione. La donna rientrava dal lavoro quando l’uomo l’ha aggredita con un coltello da cucina, colpendola ripetutamente. Alcuni vicini, allarmati dalle urla, hanno chiamato i soccorsi, ma per Teresa non c’è stato nulla da fare. L’uomo ha poi tentato di togliersi la vita con la stessa arma, ma è stato fermato e trasportato in ospedale, dove ora si trova piantonato in stato di arresto.
Nessun precedente, ma un crescendo di tensione
Secondo le prime ricostruzioni, la coppia conviveva ancora nella stessa casa nonostante la separazione in corso. Non risultano denunce pregresse da parte della vittima né provvedimenti giudiziari per maltrattamenti. Eppure, da quanto emerso, i litigi erano frequenti e i rapporti estremamente tesi. La donna lavorava come impiegata e aveva un figlio di 28 anni, che non si trovava in casa al momento dell’aggressione. Il marito, disoccupato da tempo, viveva una situazione personale difficile, ma nessun segnale esplicito era stato colto dalle istituzioni o dalle persone attorno. Un silenzio, questo, che accompagna troppe storie finite nel sangue.
La risposta della comunità e il cordoglio istituzionale
Il sindaco di Samarate ha espresso il cordoglio dell’intera comunità e ha annunciato un momento di raccoglimento pubblico durante il prossimo consiglio comunale. I cittadini si sono stretti attorno al figlio della vittima, mentre le associazioni femminili del territorio chiedono ora interventi concreti. “Non possiamo continuare a contare le morti come se fossero incidenti imprevisti. Teresa aveva diritto a vivere. Lo Stato aveva il dovere di proteggerla”, ha dichiarato la presidente del centro antiviolenza locale.
Un appello che si rinnova a ogni tragedia
Ogni femminicidio non è solo una perdita personale, ma un fallimento collettivo. Le leggi esistono, ma da sole non bastano. Occorrono fondi certi, formazione obbligatoria per magistrati e operatori, un monitoraggio efficace dei casi a rischio, l’introduzione di misure automatiche di allontanamento, la messa in sicurezza delle donne nel momento in cui denunciano. Servono anche una cultura diffusa del rispetto e un’educazione affettiva sin dai primi anni di scuola. Teresa Stabile non è un’eccezione, ma l’ennesimo tassello di una lunga catena. Se non verrà spezzata ora, continuerà a stringersi attorno alla vita di altre donne.