FIPE, in calo il numero di bar in Italia: uno su due chiude nel giro di 5 anni

- di: Barbara Bizzarri
 
Dopo un periodo duro, contrassegnato dalle limitazioni dovute alla pandemia, ancora non c’è pace per i bar, luoghi simbolo dell’Italia e delle sue consuetudini e tradizioni. Aprire un bar infatti si rivela sempre più come un’impresa a rischio: uno su due non riesce a superare i cinque anni di vita, ed è costretto a chiudere a causa dei costi elevati di gestione e della concorrenza con le catene di ristorazione, oltre a costare agli esercenti parecchi sacrifici in termini di orari. Ad analizzare questa tendenza, che rischia di creare una desertificazione di quartieri e paesi, è la Fipe, Federazione Italiana Pubblici Esercizi, nel corso della tavola rotonda "Le sfide del bar del futuro: qualità, professionalità e innovazione" organizzata nel corso di SIGEP 2023 a Rimini con gli interventi di Matteo Musacci, vicepresidente Fipe-Confcommercio e titolare dell'Apelle Cocktail Bar, Marco Ranocchia, fondatore di PlanetOne, Igor Nuzzi, regional director Italia&Svizzera Lavazza, Francesco Santoro, head of eCommerce Partnerships di Nexi, Paolo Staccoli titolare dello Staccoli Caffè di Rimini, e Matteo Figura, director Foodservice Italy, The NPD Group Inc.

FIPE, in calo il numero di bar in Italia: uno su due chiude nel giro di 5 anni

Dal 2012 ad oggi, il numero delle imprese che svolgono attività di bar è diminuito di circa 15mila unità, e ogni anno almeno 10 mila sono le imprese che cessano l'attività. Il risultato è che il tasso di sopravvivenza dei bar dopo a cinque anni dall’apertura non raggiunge il 50%, ovvero su 100 imprese che avviano l'attività ne sopravvivono meno di 50.  L'incontro è dunque servito ad esplorare un settore nel quale lavorano, tra dipendenti e indipendenti, oltre 300mila persone con una forte diffusione territoriale (2 imprese ogni mille abitanti, 9 comuni su 10 hanno almeno un bar) e con apertura 7/7 per una media di 14 ore giornaliere, e dove è in aumento la presenza di imprenditori stranieri con una particolare vivacità della comunità cinese. Sono oltre 12 mila, il 12,2% del totale, i bar gestiti da stranieri, con punte in alcune regioni, come la Lombardia, che sfiorano il 20% o addirittura lo superano, come in Veneto e in Emilia Romagna.

"Stanno in questi numeri - dichiara Matteo Musacci, vice presidente di Fipe Confcommercio - le difficoltà che attraversa il format bar, stretto nella morsa di una competizione sempre più sfrenata e di un modello di gestione che riesce a conciliare costi e ricavi solo attraverso enormi sacrifici personali di chi ci lavora, soprattutto se si tratta del titolare e dei suoi familiari. Tenere in piedi un'azienda che deve pagare stipendi, canoni di locazione esagerati e attualmente bollette fuori controllo, con caffè e cappuccini al prezzo di poco più di un euro - prosegue Musacci - sta diventando sempre più difficile. Occorre ripensare il modello di business partendo dal presupposto che tenere aperto 7 giorni su 7 per oltre 14 ore al giorno non sempre è economicamente sostenibile. Ed aggiungo che non lo è anche guardando alla sfera personale di chi, come capita a molti di noi, piccoli imprenditori, è costretto a garantire una presenza continua sacrificando vita personale e affetti."

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