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Generali abbandona Natixis: addio al gigante da 1.900 miliardi

- di: Jole Rosati
 
Generali abbandona Natixis: addio al gigante da 1.900 miliardi

Il cda del 19 dicembre chiuderà ufficialmente il dossier. Donnet punta al piano 2027, mentre JP Morgan rilancia il titolo.

(Foto: Philippe Donnet, Ceo di Generali).

Il colossale progetto di unione tra Assicurazioni Generali e Natixis (controllata da BPCE), che prevedeva la creazione di un asset manager europeo da circa 1.900 miliardi di euro di masse gestite, sembra arrivato alla fine. A deciderlo sarà il consiglio di amministrazione di Generali convocato per il 19 dicembre. In quell’occasione – l’ultima seduta utile prima della chiusura dell’anno – verrà formalmente accantonato il progetto, se non si troverà un accordo in extremis. A spingere verso il passo indietro, oltre a scetticismi interni e opposizione di soci di peso, è il contesto di grande instabilità cambiato dopo l’ingresso di Mediobanca sotto il controllo di Monte dei Paschi di Siena (MPS), che ha ridefinito gli equilibri di potere nel Leone di Trieste.

Una joint venture ambiziosa che perde terreno

Il piano originario – annunciato a inizio 2025 – ipotizzava la fusione tra Generali Investments Holding e Natixis Investment Managers, con governance paritetica e quote 50/50. In prospettiva, l’operazione avrebbe dato vita a quello che sarebbe diventato il secondo asset manager più grande d’Europa dopo l’acquisizione.

Ma fin dall’inizio l’idea aveva incontrato una forte resistenza da parte di soci come il gruppo guidato da Francesco Gaetano Caltagirone e Delfin, detentori di quote significative di Generali. Le ragioni? Il timore che il risparmio gestito degli italiani finisse sotto un controllo non domestico, con conseguenze sui livelli di investimento in titoli italiani e asset nazionali.

A settembre 2025 era stato deciso di eliminare la cosiddetta “break-up fee” da 50 milioni, concessione che doveva servire a dare più flessibilità alla trattativa, e spostare la scadenza al 31 dicembre. Ma le tensioni interne e l’evoluzione del quadro azionario — con Mediobanca ormai in mano a MPS — hanno reso l’intesa sempre più improbabile.

Donnet mantiene il piano 2027, ma la joint venture resta fuori

Il ceo di Generali, Philippe Donnet, pur vedendosi costretto ad abbandonare l’alleanza con Natixis, conferma che il piano industriale 2025-2027 resta integro. Le linee guida strategiche del gruppo non dipendono da questa joint venture e puntano sul rafforzamento dei core business, su innovazione e su risultati operativi solidi.

Il mandato attuale di Donnet — e del cda guidato da Andrea Sironi — scadrà all’assemblea convocata per aprile 2028. Nonostante le voci, da Trieste sono arrivate secche smentite rispetto all’ipotesi di dimissioni immediate. «Non esiste nessuna ipotesi di questo tipo», ha dichiarato la compagnia.

Il mercato reagisce: JP Morgan alza il target price

In parallelo all’incertezza sull’alleanza con Natixis, gli investitori guardano con maggiore fiducia ai conti recenti di Generali. Il 13 novembre il gruppo ha pubblicato risultati relativi ai primi nove mesi del 2025 decisamente superiori alle attese: premi lordi in crescita, utili in aumento, e un forte contributo da tutti i segmenti di business, in particolare Vita e Danni. Il patrimonio netto e la generazione di cassa restano solidi, nonostante il contesto macroeconomico complesso.

Di conseguenza, JP Morgan ha deciso di incrementare il proprio target price su Generali da 39 a 40 euro per azione, confermando la raccomandazione «buy». Il titolo ne ha beneficiato, chiudendo la giornata con un +1,6%.

Questo segnale è interpretato come un voto di fiducia al modello industriale messo in campo da Donnet e al piano 2027, indipendentemente dal fallimento della joint venture. Per molti analisti, Generali resta un titolo solido e con potenziale di crescita in un contesto di mercato in ripresa.

Cosa significa per il risparmio e il mercato italiano

La rinuncia a un’alleanza con un gruppo straniero come BPCE–Natixis rappresenta una vittoria per quanti in Italia chiedevano di tutelare il risparmio domestico. Il no alla joint venture può essere letto come un rafforzamento della sovranità finanziaria italiana: i capitali resteranno sotto il controllo di un gruppo nazionale, con conseguenze concrete per l’investimento in titoli di stato e per il credito all’economia reale. Al tempo stesso, Generali mantiene un profilo competitivo e un orizzonte di crescita libero da ingombri internazionali.

Per il mercato, l’esito segna la fine di un tentativo ambizioso ma contrastato, confermando che in Italia la partita del risparmio gestito non può prescindere da sensibilità politiche e interessi industriali. E che le alleanze europee, per quanto potenti, devono fare i conti con rapporti di forza interni e con la tutela degli interessi nazionali. 

Il 19 dicembre potrebbe entrare nei libri contabili di Generali come la data in cui è tramontato un progetto che sarebbe stato uno degli asset manager più grandi del continente. Ma il gruppo non esce indebolito: il piano 2027 resta in piedi, i conti reggono, e il mercato — per ora — sembra premiarlo. In un’Italia sempre più attenta al risparmio domestico, quella che poteva apparire una resa internazionale diventa una riaffermazione dello statuto del Leone.

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