C’è un vento nuovo che soffia sulla Groenlandia, un vento che potrebbe spezzare un legame secolare con la Danimarca e ridisegnare gli equilibri geopolitici dell’Artico. Il partito al governo, Siumut, ha annunciato l’intenzione di indire un referendum sull’indipendenza qualora ottenesse la riconferma alle elezioni anticipate dell’11 marzo.
Groenlandia, il sogno dell’indipendenza si avvicina: il referendum che può cambiare la storia
Per l’isola più grande del mondo, abitata da poco più di 56.000 persone, la posta in gioco è altissima: non solo un cambio di status politico, ma una ridefinizione degli assetti economici e strategici della regione. Perché dietro alla Groenlandia non c’è solo la questione identitaria e il desiderio di autogestione, ma anche interessi geopolitici ed economici che coinvolgono le grandi potenze, dagli Stati Uniti alla Cina, passando per l’Unione Europea e la stessa Danimarca.
Un’isola contesa tra le grandi potenze
La Groenlandia è una delle aree più strategiche del mondo. La sua posizione, tra l’America del Nord e l’Europa, la rende un crocevia fondamentale per il controllo dell’Artico, un’area che negli ultimi anni è diventata sempre più cruciale dal punto di vista militare, energetico e commerciale.
Non è un caso che già nel 2019 Donald Trump, allora presidente degli Stati Uniti e oggi nuovamente alla Casa Bianca dopo la rielezione, avesse avanzato l’idea di acquistare l’isola dalla Danimarca. Un’uscita che all’epoca era stata derisa, ma che aveva scatenato un dibattito più profondo: quanto vale davvero la Groenlandia sullo scacchiere internazionale?
Gli Stati Uniti hanno un interesse diretto nell’isola, dove si trova la base aerea di Thule, un avamposto strategico del sistema di difesa missilistico americano e un punto chiave per il monitoraggio delle attività russe e cinesi nell’Artico. Ma gli USA non sono gli unici ad aver messo gli occhi sulla Groenlandia. La Cina, con il suo crescente interesse per le rotte artiche e le risorse naturali della regione, ha più volte cercato di entrare nel mercato groenlandese attraverso investimenti infrastrutturali e accordi economici.
La Danimarca, dal canto suo, ha cercato di mantenere il controllo senza però forzare troppo la mano. Se da un lato riconosce le aspirazioni indipendentiste della Groenlandia, dall’altro sa bene che perdere il territorio significherebbe rinunciare a un’enorme area strategica e a un’influenza cruciale in un’area del mondo sempre più rilevante.
La questione dell’autonomia e il nodo economico
L’indipendenza della Groenlandia non è un tema nuovo. Già nel 1979 l’isola aveva ottenuto un primo livello di autonomia dalla Danimarca, ampliato nel 2009 con una legge sull’autogoverno che ha trasferito alla Groenlandia competenze chiave come la gestione delle risorse naturali. Tuttavia, la politica estera e la difesa restano ancora sotto il controllo di Copenaghen, così come i sussidi economici che la Danimarca fornisce ogni anno all’isola, pari a circa un terzo del suo bilancio pubblico.
Ed è proprio questo uno dei principali ostacoli all’indipendenza. Oggi la Groenlandia dipende in larga parte dai finanziamenti danesi e, senza di essi, dovrebbe trovare un modo per rendersi economicamente sostenibile. Le principali risorse dell’isola sono la pesca, il turismo e l’estrazione di minerali, ma da sole potrebbero non bastare a garantire un’indipendenza solida.
I fautori dell’indipendenza, come il leader di Siumut Erik Jensen, sostengono che lo sfruttamento delle risorse naturali e il crescente interesse degli investitori internazionali possano compensare la perdita dei sussidi danesi. Ma gli scettici temono che la Groenlandia, senza una solida base economica autonoma, rischi di finire preda delle grandi potenze, diventando un’area di influenza statunitense o cinese.
Un referendum che divide il Paese
L’idea di un referendum è stata rilanciata da Siumut, che ha annunciato che, in caso di vittoria alle elezioni dell’11 marzo, attiverà l’articolo 21 della legge sull’autogoverno per negoziare direttamente i termini della separazione con la Danimarca.
Ma la questione è tutt’altro che scontata. L’indipendenza è un tema che divide profondamente la società groenlandese. Da un lato ci sono coloro che vedono nella separazione un’opportunità per affermare una piena sovranità nazionale e gestire autonomamente le risorse del Paese. Dall’altro, ci sono coloro che temono le conseguenze economiche e politiche di una rottura con la Danimarca, con il rischio di ritrovarsi isolati e vulnerabili sul piano internazionale.
La premier danese Mette Frederiksen, già criticata per la sua gestione della vicenda nel 2019, ha cercato di mantenere un atteggiamento prudente, evitando dichiarazioni forti sulla possibilità di un referendum. Ma la tensione politica è evidente, e il dibattito rischia di infiammarsi ulteriormente nei prossimi mesi.
L’11 marzo: una data chiave per il futuro della Groenlandia
Le elezioni anticipate dell’11 marzo saranno un primo banco di prova per capire quanto il tema dell’indipendenza sia sentito tra i cittadini groenlandesi. Se Siumut otterrà una vittoria netta, il processo verso il referendum potrebbe accelerare rapidamente, portando a una svolta storica per l’isola.
Ma il percorso resta incerto. L’indipendenza è una strada complessa, piena di ostacoli economici, diplomatici e strategici. La Groenlandia potrebbe trovarsi a dover scegliere tra il mantenimento di un legame con la Danimarca o l’apertura a nuove alleanze internazionali, con tutti i rischi che ne derivano.
Quel che è certo è che la Groenlandia non è più una semplice appendice della Danimarca. L’attenzione internazionale sulla sua indipendenza dimostra che il destino dell’isola è ormai un tema geopolitico globale. E il mondo, questa volta, dovrà ascoltare.