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Inflazione alimentare e redditi fermi: una dieta sana vale 4.900 euro l’anno e diventa un bene selettivo

- di: Alberto Venturi
 
Inflazione alimentare e redditi fermi: una dieta sana vale 4.900 euro l’anno e diventa un bene selettivo

L’inflazione alimentare sta ridefinendo i confini dell’accesso al cibo di qualità in Italia, trasformando l’alimentazione sana in una voce di spesa sempre più onerosa per i bilanci familiari. Oggi una dieta equilibrata costa circa 4.900 euro l’anno per una famiglia tipo, un livello che, a fronte di redditi reali stagnanti, introduce una selezione economica nei modelli di consumo e accentua le disuguaglianze.

Inflazione alimentare e redditi fermi: una dieta sana vale 4.900 euro l’anno e diventa un bene selettivo

Secondo i dati ISTAT, tra il 2021 e il 2025 i prezzi dei generi alimentari sono cresciuti del 26,8%, con rincari ancora più marcati per frutta e verdura (+32,7%). Si tratta delle categorie centrali nelle diete raccomandate, il cui aumento pesa in modo sproporzionato sui nuclei a reddito medio-basso, che destinano alla spesa alimentare una quota più elevata del reddito disponibile. In termini macroeconomici, l’inflazione alimentare agisce come una tassa regressiva, riducendo il potere d’acquisto reale delle fasce più fragili.

Il costo della dieta raccomandata
Il confronto temporale evidenzia un salto strutturale dei costi. La spesa annua pro-capite per una dieta sana è passata da 1.690 euro nel 2018 a 2.130 euro nel 2023, con un incremento del 24%. Applicando il dato a una famiglia tipo ISTAT di 2,3 componenti, il costo annuo raggiunge circa 4.900 euro. L’aumento è particolarmente intenso nel Mezzogiorno, dove tra il 2022 e il 2023 si registra un +27%, ampliando il divario territoriale già esistente sul fronte dei redditi.

Cheapflation e adattamento dei consumi
Il volume Povertà e insicurezza alimentare in Italia, curato dall’OIPA-CURSA, richiama il concetto di cheapflation per descrivere l’effetto combinato di inflazione e vincoli di reddito. L’aumento relativo dei prezzi dei cibi freschi induce le famiglie a riallocare la spesa verso prodotti a minor costo unitario e ad alta densità calorica. Dal punto di vista economico, si tratta di una risposta razionale ai vincoli di bilancio, ma con effetti collaterali rilevanti in termini di qualità della dieta e di costi futuri per il sistema sanitario.

Ambienti alimentari e fallimenti di mercato
Le difficoltà di accesso al cibo sano sono accentuate in contesti caratterizzati da food desert e food swamp, dove l’offerta di prodotti freschi è limitata o più costosa. In questi casi emerge un fallimento di mercato: l’allocazione dell’offerta privilegia alimenti a basso prezzo e alto margine, penalizzando la disponibilità di beni con esternalità positive per la salute. Il risultato è un’ulteriore polarizzazione dei consumi lungo linee di reddito e territorio.

Effetti su capitale umano e spesa pubblica
Il progressivo allontanamento dalla dieta mediterranea – seguita oggi solo dal 43% degli italiani e da appena il 32,8% dei giovani tra 15 e 24 anni – ha implicazioni che vanno oltre il consumo immediato. Il paradosso evidenziato dal rapporto è che malnutrizione e sovrappeso crescono insieme: oltre un bambino su cinque è obeso, quota che sale a quasi uno su tre nelle aree più povere. In termini economici, questo trend si traduce in un deterioramento del capitale umano e in un aumento atteso dei costi sanitari e previdenziali nel medio-lungo periodo.

Le implicazioni per le politiche economiche
Il quadro che emerge è quello di un’alimentazione sana sempre meno accessibile senza interventi correttivi. Dal punto di vista delle politiche economiche, il tema non riguarda solo il contenimento dell’inflazione, ma anche il rafforzamento dei redditi, il sostegno mirato ai consumi essenziali e la riduzione delle distorsioni nei mercati alimentari. In assenza di misure strutturali, il rischio è che il costo del cibo sano continui a crescere più rapidamente dei redditi, trasformando una scelta virtuosa in un lusso per pochi e generando, nel tempo, costi collettivi più elevati.

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