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Inflazione: Giappone e Germania, i numeri che cambiano clima su tassi

- di: Bruno Coletta
 
Inflazione: Giappone e Germania, i numeri che cambiano clima su tassi
Inflazione: Giappone e Germania, i numeri che cambiano il clima sui tassi

Tokyo rallenta di un soffio ma resta “calda”, Berlino vede consumatori più freddi e fabbriche ancora in deflazione: la bussola dei mercati si sposta tra yen, euro e banche centrali. 

Il doppio messaggio del mattino: Tokyo tiene, Berlino trema

Due economie avanzate, due termometri, un’unica domanda che rimbalza nelle sale trading: l’inflazione sta davvero rientrando oppure sta solo cambiando forma?

In Giappone l’indice dei prezzi al consumo rallenta marginalmente, ma resta stabilmente sopra il livello-obiettivo della banca centrale. In Germania, invece, i prezzi alla produzione continuano a scendere su base annua e la fiducia dei consumatori scivola, segnalando un avvio d’anno potenzialmente complicato per la domanda interna.

Giappone: inflazione al 2,9%, core al 3% e il “fattore BoJ”

Il dato di novembre mostra un’inflazione complessiva al 2,9% annuo (dal 3,0% di ottobre) e un aumento mensile dello 0,4%. L’indicatore core (al netto dei freschi) resta al 3,0%. In altri termini: la discesa c’è, ma è più un passo corto che una frenata.

Perché quel “core” conta più del titolo

Il Giappone convive da decenni con il fantasma opposto: la bassa inflazione. Per questo, quando l’inflazione core resta al 3% e il Paese supera il target del 2% per un numero record di mesi consecutivi, la questione diventa di politica monetaria prima ancora che statistica.

Dal carrello al tasso: il passaggio è già iniziato

Il punto è che, con prezzi ancora sostenuti (soprattutto su alcune componenti alimentari) e una dinamica di fondo che fatica a raffreddarsi, cresce la pressione affinché la Banca del Giappone prosegua con la normalizzazione. Il mercato, del resto, guarda allo yen e ai rendimenti come a un “sismografo” immediato: se i tassi salgono, la valuta può respirare; se l’azione appare timida, il rischio è una moneta debole che alimenta altri rincari importati.

Germania: fiducia dei consumatori a -26,9, un tonfo che pesa sui consumi

La fiducia dei consumatori misurata dal GfK Consumer Climate (powered by NIM) arretra per l’inizio del 2026 a -26,9 punti. È un segnale netto: famiglie più caute, acquisti rimandati, risparmio che torna protagonista.

Il dettaglio che fa rumore: cresce la propensione a risparmiare

Dietro il calo ci sono tre ingredienti tipici dei finali d’anno “nervosi”: aspettative di reddito in indebolimento, disponibilità all’acquisto in flessione e un ritorno dell’idea che “meglio tenersi liquidi”. Per la Germania, che vive anche di fiducia (oltre che di export), è un campanello che suona forte proprio mentre si entra nel trimestre più delicato per la spesa delle famiglie.

Prezzi alla produzione: -2,3% annuo, ma mese su mese fermi

Secondo i dati sui prezzi alla produzione in Germania, a novembre il PPI è -2,3% su base annua, con una variazione mensile pari a 0,0%. In pratica: rispetto all’anno scorso la pressione sui prezzi “a monte” resta più bassa, ma nell’ultimo passaggio mensile il raffreddamento non accelera.

Che cosa suggerisce davvero il PPI

Il PPI è spesso letto come una “pre-inflazione”: quando scende, molte aziende hanno meno bisogno (o meno spazio) di scaricare aumenti sui consumatori. Ma il fatto che il mese su mese sia piatto racconta anche un’altra storia: la discesa non è infinita, e alcune componenti potrebbero smettere di fare da freno nei prossimi mesi.

Il filo rosso: domanda europea fragile, Asia ancora calda

Mettendo i numeri in fila, emerge una frattura interessante: in Europa la domanda interna resta nervosa, mentre in Giappone la dinamica dei prezzi continua a essere abbastanza robusta da tenere il tema tassi sul tavolo.

È qui che la lettura diventa globale: se la Germania (cuore manifatturiero europeo) vede famiglie più prudenti e prezzi alla produzione ancora sotto l’anno precedente, l’Eurozona tende a respirare sul fronte inflazione, ma rischia di farlo al prezzo di una crescita più debole. Se il Giappone, al contrario, mantiene un’inflazione core elevata, la banca centrale ha più ragioni per non restare ferma.

Mercati: tre implicazioni immediate tra yen, euro e scelte delle banche centrali

  1. Yen e rendimenti giapponesi: inflazione persistente significa più attenzione a ogni segnale della BoJ sulla traiettoria dei tassi.
  2. Euro e consumi tedeschi: fiducia giù vuol dire potenziale pressione su retail e servizi, con riflessi sulle aspettative di crescita europea.
  3. Inflazione “importata” vs “domestica”: in Asia il tema resta il prezzo che resiste; in Europa il tema diventa la domanda che non decolla.

Che cosa guardare adesso

I prossimi passaggi chiave sono due: da un lato la traiettoria dei salari e dei prezzi alimentari in Giappone (per capire quanto sia “strutturale” il 3% core); dall’altro la capacità della Germania di evitare che la prudenza delle famiglie diventi un ciclo di rinvii della spesa.

Per chi segue tassi e mercati, la sintesi è brutale: Tokyo discute di quanto stringere, Berlino di quanto non frenare. E in mezzo, gli investitori fanno quello che fanno sempre: trasformano i decimali in scenari. 

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