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Internet al tappeto: blocco globale dei servizi di Cloudflare

- di: Marta Giannoni
 
Internet al tappeto: blocco globale dei servizi di Cloudflare
Quando una singola infrastruttura centrale ferma gran parte del web.

Il 18 novembre 2025 è entrato nella cronaca come il giorno in cui una delle colonne portanti della rete globale ha iniziato a scricchiolare. L’azienda americana Cloudflare, che secondo le stime interne gestisce tra il 10% e il 20% del traffico internet mondiale, ha subito un blackout tecnico che ha coinvolto piattaforme di primo piano come ChatGPT, X (l’ex Twitter), Spotify e numerosi altri servizi digitali.

L’episodio ha mostrato in modo plastico quanto il web di oggi sia appoggiato su poche infrastrutture cruciali: quando una di queste inciampa, l’effetto domino raggiunge milioni di persone in tutto il mondo.

Il disservizio: cronaca di un’interruzione massiva

Il disservizio è stato avvertito a partire da poco prima delle ore 13 italiane. In quel momento, chi provava a raggiungere siti e applicazioni appoggiati a Cloudflare iniziava a visualizzare messaggi di errore e pagine irraggiungibili. In molti casi comparivano i classici errori di tipo 5XX, quelli che segnalano un problema lato server.

L’azienda ha spiegato che si è verificato uno sbilanciamento anomalo del traffico su alcuni servizi centrali. In una nota tecnica, i responsabili hanno spiegato che “abbiamo rilevato uno spike di traffico insolito su uno dei nostri servizi, che ha causato errori a catena nella nostra rete”, sottolineando che il team di ingegneri è intervenuto per isolare il problema e ripristinare gradualmente le funzionalità.

Per alcune ore, l’esperienza degli utenti è stata caratterizzata da una disponibilità a singhiozzo: alcuni siti tornavano visibili per qualche minuto per poi cadere di nuovo. Un segnale chiaro del fatto che gli interventi di mitigazione erano in corso, ma la rete faticava a tornare stabile.

Quali servizi sono rimasti offline o in difficoltà

Il blackout non ha colpito solo i social più noti. Accanto a ChatGPT e X, hanno registrato problemi anche servizi di streaming musicale, piattaforme di videogiochi online, servizi di e-commerce, portali d’informazione e persino alcuni sistemi di trasporto che usano il web per aggiornare orari e informazioni in tempo reale.

La casistica è ampia: dai giochi multiplayer che non riuscivano a collegarsi ai server, ai siti di vendita online che non caricavano le pagine prodotto, fino alle applicazioni che basano il proprio funzionamento su API esterne veicolate da Cloudflare. In tutti questi casi, l’utente finale ha visto solo una cosa: il servizio “non funziona”.

Per le aziende digitali, però, dietro quella schermata c’era molto di più: campagne pubblicitarie bloccate, transazioni interrotte, dati che non potevano essere aggiornati, flussi di lavoro completamente congelati.

Perché è accaduto: le cause tecniche

Le prime analisi hanno parlato di un problema sui servizi di backend della rete Cloudflare, non tanto un guasto fisico in un singolo data center quanto un malfunzionamento del software che coordina l’instradamento del traffico.

A rendere più complesso il quadro c’era il fatto che, proprio nelle stesse ore, erano state programmate alcune operazioni di manutenzione in vari nodi strategici della rete globale, da cui il sospetto che la sovrapposizione fra attività pianificate e anomalie tecniche abbia contribuito all’esito finale.

L’azienda ha chiarito che sono in corso verifiche dettagliate per ricostruire la dinamica. I tecnici hanno sintetizzato così l’approccio: “Siamo al lavoro per capire l’origine dell’anomalia e prevenire che un evento simile possa ripetersi in futuro”, sottolineando la volontà di correggere non solo il bug specifico ma anche le procedure di controllo.

La voce degli esperti e il paradosso della rete “monocentrale”

Per molti specialisti di sicurezza e infrastrutture digitali, quanto accaduto era in qualche modo annunciato. «È il paradosso di una rete interconnessa che da un lato ottimizza le prestazioni, ma dall’altro – in caso di disservizio – innesca una reazione a catena di dimensioni enormi», ha osservato un ingegnere informatico esperto di architetture cloud.

Il punto, spiegano gli addetti ai lavori, è che la rete è diventata estremamente efficiente grazie a pochi grandi operatori capaci di distribuire contenuti a velocità elevatissime in tutto il mondo. Ma proprio questa efficienza porta con sé una dipendenza strutturale: quando uno di questi snodi rallenta o si ferma, l’effetto non è circoscritto, bensì diffuso.

Non si tratta solo di un tema tecnico, ma di un vero rischio sistemico. Se un singolo attore arriva a gestire una quota molto alta del traffico mondiale, ogni vulnerabilità – che sia dovuta a errore umano, bug software o attacco informatico – può trasformarsi in un evento globale.

Impatto economico e reputazionale per le aziende

L’interruzione del 18 novembre 2025 non ha provocato solo irritazione tra gli utenti costretti a rinunciare per qualche ora ai propri servizi preferiti. Per le imprese, il danno potenziale è ben più ampio. Ogni minuto di inattività significa perdite di fatturato, campagne marketing sospese, clienti che non riescono a concludere acquisti o a usare servizi pagati.

Esiste poi un tema di reputazione. Un servizio che “va giù” all’improvviso, senza spiegazioni immediate, mina la fiducia degli utenti, soprattutto quando gli stop si ripetono a distanza ravvicinata. Negli ultimi mesi, il mondo digitale ha già fatto i conti con altri blackout, legati a grandi fornitori di infrastrutture cloud e di sicurezza informatica, che hanno messo offline milioni di dispositivi in tutto il mondo.

Per molte aziende, questo episodio potrebbe trasformarsi in uno spartiacque: o si continua a confidare nella “buona sorte” dei grandi fornitori globali, oppure si sceglie di ripensare seriamente la propria strategia di resilienza digitale.

Cosa cambia per il futuro della rete e della sicurezza

L’incidente è un promemoria potente sul fatto che la resilienza deve diventare un criterio di progettazione, non un optional. Gli esperti indicano alcune direttrici ormai inevitabili: diversificare i fornitori di infrastruttura, predisporre architetture ridondanti, testare di frequente i piani di recupero in caso di disservizio.

In prospettiva, è probabile che gli stessi clienti di Cloudflare e degli altri grandi hub del web pretenderanno maggiore trasparenza sui protocolli di sicurezza, sulle procedure di aggiornamento e sulla gestione delle crisi. Il blackout del 18 novembre 2025 diventa così un caso di studio per l’intero ecosistema digitale.

Come sintetizza un analista di cybersecurity: “Non esiste un web completamente sicuro, ma esistono infrastrutture più o meno pronte a reggere l’impatto di un incidente. La differenza la fanno le ridondanze, i test e la capacità di reagire in modo coordinato”.

Le lezioni per l’Italia e per le imprese digitali

Per il mondo italiano dell’informazione, delle startup tecnologiche e dei servizi online, l’episodio è una sveglia rumorosa. Molti operatori si sono accorti in queste ore di quanto la loro operatività dipenda da nodi esterni che non controllano direttamente.

Ogni ora di blocco può significare audience persa, contratti pubblicitari a rischio, utenti che migrano verso piattaforme concorrenti. Per questo, chi gestisce siti, app e servizi digitali è chiamato a interrogarsi su alcune domande concrete: esiste un piano B se il principale fornitore di infrastruttura si ferma? I sistemi critici possono appoggiarsi a più di un provider? La comunicazione verso il pubblico è pronta ad attivarsi in caso di crisi?

Un approccio più maturo alla trasformazione digitale passa anche da qui: non solo nuove funzionalità e interfacce più accattivanti, ma la consapevolezza che dietro ogni servizio ci sono infrastrutture che possono incepparsi. E che la vera innovazione, oggi, è riuscire a garantire continuità anche quando qualcosa va storto.

Il blackout legato a Cloudflare del 18 novembre 2025 non è stato solo un fastidio passeggero. È stato un campanello d’allarme globale: la conferma che il web, per quanto avanzato, resta vulnerabile quando troppa parte della sua energia passa attraverso pochi, giganteschi interruttori.

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