Le nuove previsioni Istat sulla forza lavoro al 2050 confermano un dato strutturale per l’economia italiana: la partecipazione al mercato del lavoro continuerà a crescere nelle fasce centrali d’età, ma il recupero femminile non sarà sufficiente a eliminare il gap con gli uomini. Il tasso di attività maschile, oggi sopra il 90% nella fascia 35-54 anni (con un massimo al 92%), entro il 2050 potrebbe toccare il 94% nella fascia 35-44 anni. Per le donne, invece, l’aumento sarà più marcato in termini relativi, ma il livello finale resterà più basso: dal massimo attuale del 73% al possibile 80% nel 2050.
Istat: entro il 2050 attività al 94% tra gli uomini 35-44 anni
Secondo l’Istat, la principale leva di convergenza è il titolo di studio. La partecipazione femminile è già oggi significativamente più alta tra le laureate rispetto alle diplomate o a chi possiede qualifiche inferiori. Il trend demografico indica che nei prossimi venticinque anni crescerà il numero di donne con istruzione terziaria: questo effetto, sommandosi alla riduzione delle coorti maschili, tenderà a restringere il divario complessivo. Ma non a colmarlo. La distanza rimane perché gli ostacoli strutturali — carico familiare, cura non retribuita, rigidità dell’organizzazione del lavoro, servizi insufficienti per l’infanzia — continuano a pesare soprattutto sulle donne nella fascia di età in cui coincide maternità e massima produttività professionale.
Il fattore età: giovani più a lungo in formazione
Sul fronte giovanile, l’Istat prevede un tasso di attività ancora più contenuto. Tra i 15 e i 19 anni oggi il tasso è dell’8,6% per i maschi e del 4,2% per le femmine; nel 2050 scenderà al 7% e al 3,7% rispettivamente. La ragione è l’allungamento della permanenza nei percorsi formativi: più istruzione significa più rinvio dell’ingresso nel lavoro. Anche nella fascia 20-24 anni la partecipazione resterà su livelli simili agli attuali per effetto della prosecuzione degli studi e dei percorsi universitari.
La dinamica centrale: meno giovani, più pressione sulla fascia 35-54
La struttura demografica in evoluzione produce una redistribuzione del peso di mercato verso le età centrali. Entro il 2050, la forza lavoro italiana sarà molto più concentrata proprio nelle coorti tra i 30 e 54 anni: ciò spiega perché i tassi di attività più elevati si registrano lì, e continueranno a crescere. La conseguenza economica è chiara: una forza lavoro più ristretta numericamente dovrà avere una partecipazione più alta per sostenere produttività, sistema contributivo e tenuta dei servizi pubblici.
Perché la previsione è un indicatore macroeconomico
Queste proiezioni non sono dati “neutrali”: sono un proxy della capacità del Paese di generare crescita futura. Un tasso di attività stabile e alto tra gli uomini, ma ancora inferiore tra le donne, significa che l’Italia continuerà ad avere un potenziale inespresso. Anche in presenza di miglioramenti percentuali, il saldo assoluto resta condizionato dalla dimensione sempre più contenuta delle coorti in età lavorativa. Senza un’accelerazione più decisa nella partecipazione femminile, la forza lavoro complessiva continuerà a ridursi, con ripercussioni su produttività, competitività e gettito fiscale.
La sfida dei prossimi anni: lavoro e natalità sullo stesso asse
Il quadro Istat incrocia implicitamente il tema della transizione demografica: meno nascite, meno giovani, più pressione su chi lavora. L’incremento previsto dell’occupazione femminile non nasce da maggiore disponibilità di tempo ma da necessità macroeconomica. Tuttavia, senza politiche strutturali — servizi per l’infanzia, strumenti di conciliazione, orari flessibili, sostegno nelle fasi di cura — la soglia dell’80% rischia di rappresentare il massimo raggiungibile.