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Istat: “Salari reali ancora inferiori dell’8% rispetto al 2021”

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Istat: “Salari reali ancora inferiori dell’8% rispetto al 2021”

“Le retribuzioni contrattuali lorde in termini reali risultano ancora inferiori di oltre l’8% rispetto a quelle di gennaio 2021.” È il passaggio centrale dell’intervento del presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli, durante l’audizione sulla manovra davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato.
Un dato che fotografa con chiarezza la distanza ancora ampia tra la crescita dei salari e il livello dei prezzi, dopo due anni di forte inflazione.

Istat: “Salari reali ancora inferiori dell’8% rispetto al 2021”

Secondo l’analisi dell’Istituto, la ripresa delle retribuzioni — avviata nella seconda metà del 2023 — non è bastata a compensare la perdita di potere d’acquisto accumulata durante il biennio 2022-2023, segnato dallo shock inflattivo e dalla corsa dei beni energetici e alimentari.
“La recente accelerazione della crescita delle retribuzioni contrattuali non ha permesso di recuperare la perdita del potere d’acquisto”, ha ribadito Chelli, sottolineando che il recupero reale dei salari si è arrestato nonostante la ripartenza dei rinnovi contrattuali in diversi comparti pubblici e privati.

Il quadro complessivo, ha osservato l’Istat, evidenzia quindi un livello medio delle retribuzioni reali ancora sensibilmente più basso rispetto a inizio 2021, con un differenziale negativo che pesa soprattutto sui lavoratori a reddito medio-basso.

Il nodo dell’articolo 4: l’imposta sostitutiva del 5%
Nell’audizione, Chelli ha richiamato uno dei punti centrali della manovra, l’articolo 4, che introduce per il 2026 un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali locali pari al 5% sugli aumenti retributivi derivanti dai rinnovi contrattuali sottoscritti nel 2025 e nel 2026.
La misura riguarda esclusivamente i dipendenti del settore privato con redditi fino a 28mila euro annui.

Si tratta, secondo le simulazioni dell’Istat, di un incentivo fiscale con un impatto economico modesto: un incremento lordo di 80 euro al mese si tradurrà in un beneficio netto di circa 15 euro. “La misura produce incrementi direttamente sulla retribuzione netta”, ha spiegato Chelli, aggiungendo che il vantaggio fiscale si applicherà solo per un anno.

Una spinta alle trattative contrattuali
Oltre a sostenere parzialmente il reddito disponibile, l’obiettivo dell’intervento — ha ricordato Chelli — è incentivare la rapida chiusura delle trattative di rinnovo contrattuale già in corso o in avvio nei prossimi mesi.
L’agevolazione, limitata al solo 2026, punta infatti a spingere le parti sociali a concludere i negoziati in tempi brevi, prima della scadenza della finestra temporale del beneficio fiscale.

Resta tuttavia il nodo strutturale: l’Istat osserva che, anche in presenza di questi incentivi, il recupero del potere d’acquisto dei salari non potrà essere immediato, vista la distanza ancora marcata tra dinamica retributiva e inflazione cumulata del triennio precedente.

La fotografia del potere d’acquisto
A fine settembre 2025, il differenziale tra salari nominali e reali resta dunque uno degli indicatori più sensibili per misurare l’effettivo impatto dell’inflazione sulle famiglie italiane.
Mentre il costo della vita ha rallentato rispetto ai picchi del 2023, l’aumento dei prezzi dei beni alimentari e dei servizi continua a comprimere la capacità di spesa delle fasce di reddito più basse.

Le misure della manovra, in questo contesto, rappresentano un intervento limitato ma simbolico, che mira a dare un segnale al mercato del lavoro e al sistema contrattuale, senza tuttavia incidere in modo sostanziale sulla dinamica complessiva dei salari reali.

L’analisi dell’Istat e lo scenario per il 2026
Il quadro tracciato da Chelli restituisce l’immagine di un mercato del lavoro in evoluzione ma ancora fragile. Il rallentamento dell’inflazione ha creato le condizioni per una ripresa più stabile dei redditi, ma i salari reali restano lontani dai livelli pre-crisi, con un divario che in media supera l’8%.

Il presidente dell’Istat ha richiamato infine l’importanza di monitorare l’efficacia delle misure introdotte e la velocità con cui i rinnovi contrattuali potranno tradursi in aumenti tangibili.
La scommessa del governo è che il 2026 segni un punto di svolta per il potere d’acquisto, ma — come emerge dall’analisi — il margine di miglioramento resta limitato se non accompagnato da una crescita reale della produttività e da una stabilizzazione dei prezzi.

Un’audizione, quella di Chelli, che mette in fila numeri e realtà: i salari risalgono, ma troppo lentamente. E la distanza tra busta paga e carrello della spesa continua a raccontare una storia di fragilità economica, non ancora archiviata.

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