Come evidenzia l’Istituto Bruno Leoni, l’Italia deve smettere di inseguire il feticcio del precariato e guardare in faccia il vero problema: la stagnazione della produttività.
(Foto: Alberto Mingardi, Direttore Generale dell’Istituto Bruno Leoni).
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Ora che il referendum è passato — o meglio, è stato ignorato dalla netta maggioranza degli italiani — è tempo di spostare l’attenzione sulla vera emergenza economica del Paese: la produttività. Lo afferma con chiarezza l’Istituto Bruno Leoni – Idee per il Libero Mercato, secondo cui l’altissimo tasso di astensione non è un caso, ma un segnale netto: gli italiani non hanno abboccato alla retorica ideologica sulla precarietà, e tantomeno all’uso strumentale della consultazione popolare.
Come puntualizza l’IBL, il risultato referendario si può leggere in due modi, non necessariamente in contrasto tra loro. Da un lato, una scelta di merito: circa il 70% degli elettori ha respinto – attivamente o con l’astensione – il taglia-e-cuci normativo proposto nei quesiti, preferendo un mercato del lavoro flessibile, che oggi registra livelli record sia in termini di occupazione sia di contratti a tempo indeterminato. Dall’altro, un rigetto della deriva plebiscitaria: uno strumento nato per affrontare grandi questioni è stato ridotto, secondo l’IBL, a un’operazione opaca con finalità esclusivamente politiche.
“Mai come oggi il problema non è il precariato, ma la stagnazione della produttività e dei salari”, sottolinea l’Istituto Bruno Leoni. L’insistenza della Cgil e di buona parte della classe dirigente di sinistra sul tema della precarietà, a fronte di un contesto occupazionale in miglioramento, appare agli occhi dell’IBL sempre più scollegata dalla realtà del Paese. E in effetti, le cifre parlano chiaro: nonostante una narrazione perennemente allarmista, il numero di occupati cresce, la quota di contratti stabili aumenta, e il “jobs act” tanto contestato ha prodotto effetti misurabili.
Secondo l’IBL, la vera urgenza è avviare un confronto serio sulle cause strutturali che rallentano la crescita economica: innovazione insufficiente, bassa produttività del lavoro, inefficienze del sistema pubblico e carenza di investimenti. Una discussione di merito, quindi, non fondata su slogan o scorciatoie legislative.
Anche l’abuso dello strumento referendario finisce sotto accusa. Come afferma l’Istituto Bruno Leoni, quello andato in scena è stato l’ennesimo esempio di come si possa piegare la democrazia diretta a obiettivi di bandiera: quesiti incomprensibili per la maggior parte dei cittadini, ma chiaramente ideologici, hanno finito per svuotare di significato lo strumento stesso. Il messaggio che arriva dagli elettori è chiaro, secondo l’IBL: “Fate il vostro mestiere”, rivolto ai legislatori, ai sindacati, ai partiti.
L’invito dell’IBL è dunque categorico: basta con le operazioni di facciata, basta con l’ossessione per i contratti e le forme di lavoro. La crescita dei salari non si ottiene per decreto né con la propaganda, ma con riforme profonde che incentivino produttività, competitività e merito. In altre parole, il Paese ha bisogno di riformatori, non di referendari.
Conclude l’Istituto Bruno Leoni: “Evitiamo rese dei conti e politicizzazioni post-voto. L’unica vera urgenza è tornare a crescere. E per farlo serve parlare di produttività, non di precariato immaginario”.