Nella foto, Stefano Ciafani, Presidente Nazionale di Legambiente
Pare quasi una barzelletta tragica, di quelle che fanno ridere amaramente: la patria della bellezza, dell’arte del paesaggio, della cura millenaria del territorio si scopre prigioniera di un’attesa che sfiora il millennio. I 42 siti di interesse nazionale da bonificare — istituiti dal 1998 al 2020 — sommano insieme novecentonovantadue anni di ritardi. Un numero che, più che un dato, è un atto d’accusa. Le associazioni promotrici — Legambiente, ACLI, AGESCI, ARCI, Azione Cattolica e Libera — lo chiamano senza giri di parole “la maglia nera italiana”.
Italia, la lunga attesa delle bonifiche
Non si tratta di lembi marginali: sono distese enormi, a terra e a mare, dove l’inquinamento non è un incidente ma una condizione permanente. Comunità intere vivono come in apnea, affacciate su un futuro che non arriva mai. In quei luoghi l’attesa della bonifica è diventata un rumore di fondo, come il ticchettio di un orologio che però non segna nessun avanzamento. La quotidianità si è fusa con l’anomalia, e la salute pubblica resta appesa ai tempi della burocrazia.
La giustizia che rincorre i danni
Mentre l’ambiente attende, la magistratura prova a muoversi. Dal 2022 al 2024 si sono moltiplicate le inchieste su omessa bonifica e disastro ambientale. Procedimenti, indagini, faldoni che si accumulano come uno strato ulteriore di questa storia complicata. È una giustizia che arriva, sì, ma sempre dopo, sempre quando il danno è già diventato cronico. Ed è difficile, in un simile scenario, pensare che le procure possano da sole raddrizzare anni di inerzia istituzionale.
Un richiamo europeo che pesa
Durante il flash mob dal titolo eloquente — In nome del popolo inquinato — le associazioni hanno ricordato che l’Italia è già stata richiamata da Strasburgo per l’inerzia sul caso della Terra dei Fuochi. Un precedente che pesa come un macigno e che dovrebbe scuotere più di una coscienza politica. Perché non si tratta solo di un dossier ambientale: è un tema di diritti, di garanzie fondamentali, di cittadini abbandonati ai margini del calendario istituzionale.
La campagna “Ecogiustizia Subito”
Da qui nasce la nuova iniziativa che partirà il 26 novembre, un viaggio nell’Italia delle attese eterne: Piombino, Tito, il Sulcis, Terni, il bacino del Sacco, Torviscosa. Ogni tappa un racconto, ogni città una ferita ancora aperta. Qui la bonifica è una promessa che ha già attraversato governi, legislature, cambi di stagione, senza mai trasformarsi in realtà concreta. I ritardi medi sfiorano i ventiquattro anni, un tempo sufficiente — se fosse buona volontà — per risanare un intero Paese.
La chimica del passato e i debiti del presente
A rendere il quadro ancora più articolato c’è la lunga eredità della chimica novecentesca, quella che ha accelerato la modernità producendo però scorie e rifiuti tossici che oggi bussano prepotentemente. Le associazioni insistono sulla necessità di rivedere i regolamenti europei come il REACH, ormai troppo poco severi per arginare le sostanze più pericolose. L’Italia, che conosce bene le conseguenze di una gestione industriale priva di controlli efficaci, dovrebbe essere in prima fila.
Territori che diventano simboli
Nessun dato restituisce la misura dell’attesa come i nomi dei territori. Porto Marghera, ferma da ventisette anni. Terni, bloccata da ventiquattro. Altri siti più giovani, già inghiottiti dalla lentezza. Sono luoghi simbolo, quasi epigrafi di un’Italia che non riesce a risolvere ciò che ha ereditato e non ha il coraggio di affrontare fino in fondo. Intanto 6,2 milioni di persone vivono in aree contaminate, sospese in un limbo che tocca salute, sviluppo, dignità.
La politica davanti allo specchio
Il messaggio rivolto al Governo è chiaro: basta rinvii, basta promesse di convenienza, basta ritardi. La bonifica deve essere considerata una priorità nazionale, non un capitolo accessorio. Non è solo questione di ambiente: è questione di giustizia sociale, di diritti negati, di un Paese che a forza di rinviare rischia di perdere se stesso.
Un riscatto ancora possibile
La campagna che sta per partire vuole trasformare la rassegnazione in azione. Certo, non si cancella un ritardo storico in pochi mesi, ma si può cambiare passo. Perché un Paese moderno non può continuare a convivere con un passato tossico infilato sotto il tappeto né può chiedere ai suoi cittadini di vivere come se l’inquinamento fosse una condizione naturale. L’Italia deve bonificare, e deve farlo adesso: i territori lo chiedono, la storia lo impone, la giustizia lo pretende.