Troppi pensionati, pochi occupati e nascite in caduta libera. La Cna lancia l’allarme nel nuovo rapporto su demografia e lavoro. Siamo il Paese europeo con l’età media più alta e il tasso d’occupazione più basso. I giovani arrancano, le pensioni pesano, il sistema è a rischio implosione. Senza riforme vere, l’Italia rischia di diventare un gigante fragile e stanco.
Italia in trappola demografica
L’Italia invecchia e lo fa più in fretta di tutti gli altri. È il Paese europeo con l’età media più alta – 48,7 anni – e con una natalità tra le più basse: appena 1,2 figli per donna. L’aspettativa di vita resta tra le più alte (83,5 anni), ma il saldo demografico è allarmante. Non c’è futuro sostenibile se i giovani scompaiono e gli anziani aumentano. Il risultato? Un sistema previdenziale sotto stress, un’economia che invecchia con i suoi abitanti e una società sempre più sbilanciata. Lo afferma un approfondito studio del Centro studi della Cna.
Un sistema previdenziale fondato sul vuoto
Il nostro sistema previdenziale è fondato su un patto intergenerazionale che oggi non regge più: troppi pensionati e pochi lavoratori attivi. Nel 2024, ogni 100 persone in età da lavoro dovevano sostenere 38,4 over 64. Un record europeo. Non solo: la quota di popolazione over 65 in Italia è arrivata al 24,3%. Un dato che fotografa il progressivo slittamento verso l’alto dell’età media, con tutte le conseguenze che questo comporta su spesa pubblica, produttività, consumi, welfare.
Pensioni, una bomba a orologeria
Il dato più esplosivo è quello relativo alla spesa pensionistica: in Italia assorbe il 15,5% del Pil. La riforma contributiva e l’innalzamento dell’età pensionabile hanno contenuto la spesa negli ultimi anni, ma la CNA avverte: “Non basta allungare l’età lavorativa se poi non si lavora davvero, o si lavora poco. La durata effettiva della vita lavorativa conta più dei requisiti formali”. E su questo fronte, l’Italia è in fondo alla classifica: nel 2024, la media era di 32,8 anni.
Lavorare di meno, vivere di più (ma per chi?)
Paradosso tutto italiano: si vive a lungo, ma si lavora poco. E si entra tardi nel mercato del lavoro, se ci si entra. Il tasso di occupazione tra i 15 e i 24 anni è al 19%. Una cifra che grida vendetta. Significa che cinque giovani su sei sono fuori dal lavoro. E molti di loro non studiano nemmeno. L’effetto domino è devastante: meno versamenti contributivi, più peso sulle generazioni attive, più pensioni da sostenere, più diseguaglianza. La CNA è netta: “Senza un’inversione di rotta, il sistema collassa”.
Il blocco generazionale
Il problema non è solo quantitativo, ma qualitativo. I pochi giovani che lavorano, spesso lo fanno con contratti precari, mal pagati, senza prospettive. Nel 2024, solo il 4,7% degli occupati italiani aveva meno di 25 anni. La classe lavorativa si sta invecchiando, il passaggio di competenze tra generazioni è debole, il mismatch tra domanda e offerta di lavoro è cronico. I saperi non si trasmettono, le imprese perdono slancio, la produttività ristagna.
Le piccole imprese tengono accesa la fiammella
Eppure un antidoto esiste. Sono le micro e piccole imprese, centrali nel tessuto economico italiano. Nelle imprese con meno di 10 dipendenti, il 22,4% dei lavoratori ha meno di 30 anni. Nelle grandi imprese, la quota scende al 12%. Le PMI non solo assorbono più giovani, ma li formano, li avvicinano ai mestieri, li rendono parte di una comunità produttiva. È qui che la politica dovrebbe puntare: incentivi stabili, defiscalizzazione del lavoro giovanile, percorsi formativi personalizzati. La CNA lo dice chiaramente: “Le imprese minori sono la spina dorsale del Paese, l’unico vero ponte tra generazioni”.
La Silver Economy non basta
C’è poi il grande tema della cosiddetta “Silver Economy”: l’insieme delle attività legate agli over 65 oggi vale già il 20% del Pil. È un’opportunità, certo. Ma non può sostituire l’economia generativa. Il rischio è trasformare il Paese in un grande centro di assistenza geriatrica, con città svuotate dai giovani, scuole che chiudono, imprese che emigrano. “Un sistema sano – ricorda il rapporto CNA – non può fondarsi solo sulla domanda passiva della terza età, ma deve produrre innovazione, ricerca, lavoro, formazione. Deve essere giovane, non solo longevo”.
Un’Italia che perde sé stessa
La conclusione della Cna è un appello a guardare in faccia la realtà: l’Italia si sta trasformando in un Paese delle contraddizioni. Da un lato, condizioni di vita invidiabili. Dall’altro, un sistema che espelle le energie vitali. Il saldo migratorio dei giovani è negativo, le università si svuotano, le competenze fuggono. La natalità crolla perché mancano certezze, prospettive, fiducia. “Il declino demografico – scrive la CNA – non è solo una conseguenza. È la radice stessa del problema”.
Politiche concrete, non annunci
La soluzione non è né semplice né rapida, ma esiste. Occorre partire dal lavoro: creare occupazione stabile, rendere fluido l’ingresso dei giovani, premiare chi investe nei territori. Serve anche un patto formativo tra istituzioni, scuole, imprese. E una visione politica che non rincorra la contingenza ma costruisca il futuro. Non bastano aggiustamenti all’età pensionabile o bonus temporanei. Servono riforme strutturali, coraggiose, coordinate.
Cna: “Ripartire dai giovani per salvare tutti”
Il Centro Studi della Cna non si limita a lanciare l’allarme, ma indica una rotta: “Ripartire dai giovani non è una scelta ideologica. È l’unico modo per garantire dignità agli anziani, sostenibilità alle pensioni, forza al sistema produttivo”. Un Paese che non investe nei suoi ragazzi è un Paese che rinuncia al domani. Che affida tutto al passato, alla rendita, alla memoria. Ma il futuro non si eredita. Si costruisce. E oggi, conclude la CNA, “il tempo per agire non è domani. È adesso”.