“La battaglia ha inizio”, ha scritto poche ore fa l’ayatollah Ali Khamenei in un messaggio diffuso su X, dichiarando apertamente guerra a Israele e promettendo una risposta “senza pietà” ai suoi leader. La guida suprema dell’Iran rompe così ogni tentativo di prudenza diplomatica, in un contesto internazionale già segnato da tensioni elevate, annunciando che il regime “darà una risposta forte al regime terrorista sionista”. Il tono e il contenuto del messaggio non lasciano spazio a interpretazioni: per la Repubblica islamica, siamo entrati in una nuova fase dello scontro, anche comunicativo, con Israele e i suoi alleati.
Khamenei lancia la sfida: “La battaglia ha inizio”. Trump valuta l’opzione militare
A rendere ancora più incerto il quadro è la posizione degli Stati Uniti. Donald Trump, ha chiesto a Teheran una “resa incondizionata”, ma secondo quanto riportato dal Wall Street Journal non avrebbe ancora deciso se procedere a un’azione militare al fianco di Israele. La questione è stata al centro di una riunione ad alta tensione con il Consiglio per la sicurezza nazionale, durante la quale sono state analizzate diverse opzioni: tra queste, anche l’attacco congiunto contro obiettivi sensibili, come i programmi nucleari e militari iraniani. Trump, noto per il suo stile decisionista ma anche imprevedibile, starebbe ancora valutando se la sola minaccia sia sufficiente per ottenere concessioni concrete da Teheran nei negoziati sul nucleare.
L’attacco all’università di Teheran
Nel frattempo, la tensione si traduce anche in azioni militari. L’aviazione israeliana ha colpito obiettivi sensibili all’interno del territorio iraniano, e tra questi figura anche l’università di Teheran. Un atto che apre nuovi interrogativi sulle reali intenzioni del governo israeliano e sull’eventualità che il conflitto si allarghi anche a istituzioni civili e culturali. L’attacco, sebbene ancora non accompagnato da una dichiarazione ufficiale dettagliata, rappresenta un salto di qualità nel confronto: Israele intende colpire i centri di potere e di formazione della leadership iraniana, non solo le infrastrutture militari.
Nucleare e diplomazia sull’orlo del fallimento
Il conflitto fra Iran e Israele, che negli ultimi anni si è manifestato soprattutto attraverso operazioni coperte, cyberattacchi e bombardamenti indiretti in Siria e Libano, si sta ora muovendo verso una possibile escalation formale. Le trattative sul nucleare iraniano – già in una fase stagnante – appaiono sempre più marginali, mentre l’Iran sembra voler rompere ogni indugio nella ricerca della supremazia regionale. Il presidente Trump spera che la minaccia di un intervento americano possa costringere Teheran ad accettare nuove condizioni sull’arricchimento dell’uranio e sul controllo internazionale, ma la risposta di Khamenei lascia presagire uno scenario più duro.
La strategia di Trump: deterrenza o azione?
La domanda cruciale resta se gli Stati Uniti si limiteranno alla deterrenza o passeranno all’azione. Trump, che ha basato parte della sua presidenza sulla linea dura con l’Iran, si trova ora in un momento decisivo: intervenire potrebbe rafforzare la sua immagine come leader forte, ma aprirebbe anche un nuovo fronte bellico a pochi mesi dalle elezioni. L’alternativa, attendere e lasciare che Israele agisca in autonomia, rischia però di ridurre l’influenza americana nello scacchiere mediorientale.
Verso un nuovo conflitto regionale?
Il timore è che la dichiarazione di Khamenei sia solo il preludio a un confronto militare più ampio. L’Iran, attraverso i suoi alleati regionali – come Hezbollah in Libano, le milizie sciite in Iraq e gli Houthi in Yemen – potrebbe colpire Israele su più fronti, trasformando la crisi in una guerra regionale. Dall’altra parte, l’arsenale israeliano e il sostegno (anche se non ancora militare diretto) statunitense rappresentano una minaccia concreta per Teheran. In mezzo, le diplomazie internazionali osservano con crescente preoccupazione l’evolversi degli eventi.