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Libertà di stampa, nel 2025 minimo storico globale. Italia fanalino di coda in Europa occidentale

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Libertà di stampa, nel 2025 minimo storico globale. Italia fanalino di coda in Europa occidentale

Il 2025 si apre con un dato allarmante per l’informazione mondiale. Reporters sans frontières ha diffuso il World Press Freedom Index che fotografa un panorama segnato da un arretramento diffuso della libertà di stampa. Per l’Italia il bilancio è ancora più preoccupante: con il 49° posto su 180 Paesi, il nostro è il peggior risultato registrato in Europa occidentale. Un arretramento di tre posizioni rispetto all’anno precedente che pone il Paese in un’area grigia, tra democrazie formalmente solide ma sempre più permeabili a pressioni, intimidazioni e limitazioni legali che ostacolano il lavoro giornalistico.
Libertà di stampa, nel 2025 minimo storico globale. Italia fanalino di coda in Europa occidentale.

Libertà di stampa, nel 2025 minimo storico globale. Italia fanalino di coda in Europa occidentale

Secondo RSF, a compromettere il livello di libertà in Italia sono fenomeni che affondano le radici sia nella criminalità organizzata sia nella gestione politica dell’informazione. Nelle regioni meridionali, ma non solo, la stampa continua a subire pressioni dirette da parte di clan mafiosi e gruppi estremisti, mentre aumentano le intimidazioni fisiche e digitali nei confronti dei giornalisti. Al tempo stesso, la politica tenta di ridurre gli spazi di trasparenza attraverso proposte normative come la cosiddetta “legge bavaglio”, che limiterebbe la pubblicazione di atti giudiziari durante le indagini preliminari. Un disegno che, secondo RSF, mina il diritto all’informazione pubblica su procedimenti che riguardano anche la classe dirigente e le istituzioni.

La fragilità dell’informazione giudiziaria


Tra i fronti più esposti, l’informazione giudiziaria è diventata terreno di scontro e tentativo di controllo. Il dibattito attorno alla diffusione delle intercettazioni, al ruolo dei media nei processi ad alto impatto politico e alla riforma del codice di procedura penale ha progressivamente eroso lo spazio di manovra per chi racconta le inchieste. La libertà d’informazione si misura anche nella possibilità di raccontare i fatti senza subire pressioni legali, richieste di risarcimento esorbitanti o attacchi personali. Le querele temerarie restano uno degli strumenti più usati per intimidire cronisti e redazioni, mentre la minaccia di azioni civili dissuasive contribuisce a raffreddare la pubblicazione di inchieste scomode.

Minacce quotidiane e giornalisti sotto scorta

L’arretramento italiano non si spiega solo con la normativa. RSF segnala anche l’aumento delle minacce quotidiane, soprattutto nei confronti di chi lavora in prima linea su criminalità, politica e corruzione. In Italia decine di giornalisti vivono sotto protezione, costretti a cambiare abitudini e routine per tutelarsi. Le minacce arrivano per posta, sui social, attraverso telefonate anonime. In molti casi, chi le subisce sceglie il silenzio per paura di ritorsioni. È in queste condizioni che la libertà di stampa si trasforma da diritto formale a possibilità concreta negata.

Il confronto europeo e il declino occidentale

Nel confronto con l’Europa, il dato italiano risulta ancora più grave. Norvegia, Danimarca, Estonia guidano la classifica mondiale grazie a legislazioni garantiste, pluralismo dei media e un forte sistema di protezione per i giornalisti. Francia e Spagna mantengono posizioni intermedie ma solide, mentre l’Italia arretra in modo costante da cinque anni. Il continente europeo, pur restando l’area con maggiore libertà, vede comunque restringersi le zone classificate come “buone”. La pressione sulle redazioni cresce anche nei Paesi dove un tempo l’indipendenza dei media sembrava intoccabile. Il pluralismo, il diritto di critica e la protezione delle fonti sono sotto osservazione in tutta l’Unione.

Il declino globale e la sfida democratica

A livello mondiale, il rapporto RSF parla di un declino senza precedenti. Più della metà della popolazione globale vive in contesti dove l’informazione è gravemente limitata. Gli Stati Uniti, con il ritorno di Trump alla presidenza, retrocedono al 57° posto, segnale di un clima reso più ostile dalla retorica aggressiva nei confronti della stampa. I Paesi in fondo alla classifica – Eritrea, Corea del Nord, Afghanistan – restano segnati da censura sistemica, controllo statale dell’informazione e persecuzione dei cronisti. Il mondo arretra su un terreno che dovrebbe essere comune a ogni democrazia: il diritto dei cittadini a essere informati in modo libero, pluralista e indipendente.

Il problema economico e la concentrazione editoriale

Oltre alle minacce fisiche e legali, RSF sottolinea il rischio di un’informazione sempre più condizionata da fattori economici. In Italia, la crescente concentrazione editoriale e la fragilità del sistema pubblicitario mettono a rischio l’autonomia delle testate. La stampa locale soffre in modo particolare: mancano investimenti, il lavoro giornalistico è sempre più precario, e la dipendenza da pochi inserzionisti limita l’indipendenza editoriale. Quando i media devono scegliere tra sopravvivenza e libertà, spesso il compromesso è la rinuncia al racconto più scomodo. In questa condizione, l’autocensura diventa un meccanismo silenzioso ma diffusissimo.

Il segnale di RSF e la posta in gioco per la democrazia

La retrocessione dell’Italia, così come il quadro globale descritto dal rapporto, va letto come un segnale di fragilità democratica. Dove non c’è libertà di stampa piena, non c’è neppure controllo effettivo del potere. Il diritto all’informazione non è solo un principio astratto, ma uno strumento di cittadinanza. E quando viene meno, si riduce anche la capacità delle persone di scegliere consapevolmente, partecipare e chiedere conto alle istituzioni. Per questo il rapporto RSF non è solo una classifica: è una fotografia della salute della democrazia, e un promemoria per chi governa. L’Italia ha il dovere di invertire la rotta.

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