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Lobby come esempio di democrazia

- di: Tommaso Edoardo Frosini
 
Lobby come esempio di democrazia
È ormai da parecchi anni e diverse legislature che si discute di regolare le lobby. Ci sono state numerose proposte di legge, ma poi è mancata la volontà politica di approvare un testo. Eppure, le lobby esistono: di fatto ma non di diritto, almeno in Italia. Non è così, invece, nelle altre democrazie pluraliste, dove il fenomeno di gruppi organizzati di individui che si fanno portatori di interessi particolari presso il decisore pubblico, nel tentativo di orientarne le scelte, è una realtà imprescindibile regolata con legge. Il lobbismo rappresenta una componente legittima dei sistemi di democrazia liberale: come dimostra l’esempio statunitense, dove l’attività di lobbying è talmente connaturata al sistema politico-costituzionale, al punto da considerarla, come dicono gli americani, “as American as apple pie”. Peraltro, come noto, negli Usa il lobbying gode di protezione costituzionale al Primo Emendamento, quale libertà di parola per convincere il decisore pubblico.

Lobby come esempio di democrazia

Va anche detto, che sempre più spesso il decisore pubblico ha avvertito la necessità di acquisire informazioni e conoscenze da parte di portatori di interessi particolari, e ciò soprattutto al fine di deliberare su questioni altamente tecniche o specialistiche: come avviene, per esempio, nelle indagini conoscitive presso le commissioni parlamentari. In tal senso, va pertanto evidenziata l’azione positiva esercitata dai gruppi di pressione nel processo decisionale, in quanto fornitori di elementi indispensabili per la comprensione dell’impatto di determinate scelte, sebbene molto spesso essi siano le cause di normative oscure o dalla difficile interpretazione.

In molti ordinamenti tale attività di pressione – ovvero di lobbying, per usare l’espressione inglese – svolta da gruppi organizzati verso i decisori pubblici è sottoposta a una precisa regolamentazione volta ad assicurare la trasparenza del processo decisionale o anche la partecipazione dei gruppi di pressione (che rispettano precise regole) al processo decisionale stesso. In tali ordinamenti (Stati Uniti, Canada, Israele, Francia, Gran Bretagna, Australia, Ungheria, Polonia, Estonia, Lituania) si è avvertita, con sfumature profondamente diverse tra loro, la medesima esigenza di rendere conoscibili a tutti chi sono e quali sono i gruppi di pressione, definendo un assetto di regole volte, quanto meno, ad assicurare la trasparenza delle decisioni.

 

Prendiamo ora il caso italiano, dove mancano regole organiche in materia mentre esistono delle disposizioni, “disperse” fra norme di vario genere, che in qualche modo si riferiscono ai gruppi di pressione e alla loro lecita azione di orientamento della decisione pubblica. Si pensi, per esempio, alle norme del regolamento della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica in materia di istruttoria legislativa, ovvero alle disposizioni relative all’Analisi di impatto della regolamentazione (AIR), che impongono il coinvolgimento di soggetti privati nella redazione dell’atto normativo. Tali disposizioni, tuttavia, non hanno avuto l’effetto di rendere palese il fenomeno lobbistico, né era il loro obiettivo quasi che in Italia si fatichi ad ammettere che le lobbies esistono; e questo anche perché si è mossi dalla preoccupazione che la disciplina dei gruppi di pressione possa equivalere alla loro legittimazione, dunque una curiosa ritrosia a riconoscere che il Re è nudo. Le lobbies sono divenute, di conseguenza, un vero e proprio tabù giuridico-costituzionale, un argomento noto alle cronache giornalistiche ma ritenuto non sufficientemente degno di essere sottoposto ad analisi giuridica[1].

Credo, però, che occorra partire dal presupposto che l’attività di lobbying non solo è lecita ma è anche utile e preziosa per il decisore pubblico, perché strumento indispensabile per acquisire informazioni tecniche, altrimenti difficilmente comprensibili, e prevenire impatti economicamente e socialmente insostenibili delle decisioni che si vogliono adottare. Il lobbying opererebbe, dunque, quale infrastruttura sociale ed economica in grado di unire, fermo restando le proprie rispettive responsabilità, soggetti privati e decisori pubblici. 

La crisi che permea le istituzioni partitiche, che erano i normali collettori di interessi collettivi, sollecita un intervento legislativo in tal senso. Non si può infatti negare che l’attività dei portatori di interessi sia sempre esistita ed esista in qualsiasi società evoluta. L’obiettivo che si deve raggiungere è quello di rendere trasparenti le attività, le finalità e gli scopi, i mezzi umani e finanziari impiegati, i gruppi che muovono tali interessi. Lo scopo, quindi, non è quello di istituire una nuova figura professionale o di imporre sui gruppi di interessi nuovi e maggiori oneri, ma quello di razionalizzare un’attività già presente ma non regolamentata, per fornire al decisore pubblico uno strumento e un supporto chiaro e con obiettivi e finalità ben definite e, al tempo stesso, garantire ai cittadini il diritto di conoscere le ragioni (non solo politiche) sottese alla decisione pubblica.

Una legge sulla regolamentazione delle lobbies, oltre a essere assai opportuna, deve essere promozionale e non repressiva. Ovvero deve favorire le forme collaborative degli interessi privati con quelli pubblici per migliorare le decisioni da assumere, secondo il motto einaudiano “conoscere per deliberare”.

E poi, una legge sulle lobbies, si ha motivo di ritenere che possa servire anche a rafforzare il ruolo del Parlamento: il quale, nello svolgere un’attività di mediazione fra la rappresentanza della volontà generale con il pluralismo sociale, può ritrovare un ruolo centrale di prestazione di garanzia e di integrazione dell’ordinamento. La crisi che caratterizza, ormai da tempo, le istituzioni partitiche, sempre meno collettori di interessi collettivi, induce sempre più a riconoscere e legittimare l’aggregazione e la sintesi degli interessi, ammettendoli a un’istruttoria procedimentale formale. Con l’obiettivo di favorire una migliore compenetrazione con l’interesse pubblico per costruire una migliore decisione. In una battuta finale: la democrazia esige trasparenza e la trasparenza esige una legge sulle lobbies. 

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