Indagine su Mediobanca, Bce in allerta e Borsa nervosa: il giorno della verità a Siena.
Il giorno del cda straordinario di Monte dei Paschi di Siena arriva con l’aria pesante delle sedute in cui
non si decide solo il futuro di un manager, ma l’assetto di un intero polo bancario–assicurativo.
Al centro, l’amministratore delegato Luigi Lovaglio, sotto inchiesta della procura di Milano per la
scalata a Mediobanca e chiamato a dare spiegazioni al consiglio.
Sullo sfondo, un quadro complesso: oscillazioni violente in Borsa, timori sulla reazione della
Banca centrale europea, mosse di Consob su Mediobanca e Generali e una partita di
governance che incrocia gli interessi di alcuni dei più potenti gruppi finanziari italiani.
Le accuse della procura di Milano
L’inchiesta milanese ruota intorno all’offerta pubblica di acquisto e scambio con cui Mps ha
portato sotto il proprio controllo Mediobanca, lanciando a gennaio 2025 un’operazione da
oltre 16 miliardi di euro tra azioni e contanti.
Secondo gli atti citati in varie ricostruzioni, i magistrati ipotizzano nei confronti di
Lovaglio e dei grandi soci privati di Mps – il gruppo Caltagirone e la holding
Delfin della famiglia Del Vecchio – i reati di aggiotaggio (manipolazione di mercato)
e ostacolo all’attività di vigilanza. Il cuore dell’accusa è l’esistenza di un
“concerto occulto”: un’azione coordinata che avrebbe usato Mps come leva per conquistare
Mediobanca e, tramite essa, aumentare il peso su Generali, il grande assicuratore italiano
già al centro degli interessi di entrambi i gruppi privati.
Un documento giudiziario visionato da agenzie internazionali parla esplicitamente di un
disegno in cui Delfin e Caltagirone, con il supporto di Lovaglio, puntavano a rafforzare il
controllo su Mediobanca e Generali attraverso una strategia di acquisizioni e alleanze incrociate,
senza dichiarare pienamente il coordinamento alle autorità di vigilanza.
Tutti gli indagati respingono le accuse e rivendicano di aver agito nel rispetto delle norme.
Mps, come società, non risulta al momento indagata nella parte italiana dell’inchiesta,
mentre risultano coinvolte le holding dei due grandi soci sul fronte della responsabilità
amministrativa.
Telefoni sequestrati e perquisizioni: cosa cercano i pm
La dimensione dell’indagine è emersa con più chiarezza dopo una serie di perquisizioni e
sequestri. La procura di Milano ha disposto l’acquisizione di numerosi telefoni cellulari
e dispositivi elettronici, non solo degli indagati ma anche di figure ritenute potenzialmente
in possesso di elementi utili, pur non essendo formalmente coinvolte.
Tra i dispositivi finiti nelle mani degli inquirenti ci sono quelli del presidente di Mediobanca
Vittorio Umberto Grilli e del ceo Alessandro Melzi d’Eril, sequestrati come “terzi”:
i due manager non risultano indagati, ma le loro comunicazioni sono considerate rilevanti per
ricostruire la filiera delle decisioni e dei contatti durante l’operazione su Mediobanca.
Il decreto di sequestro indica un ampio arco temporale di analisi, a partire dal 2022, anno
in cui si consolidano i patti parasociali fra Delfin e il gruppo Caltagirone in Generali e,
secondo i pm, iniziano a delinearsi i primi tasselli di quella che viene descritta come una
strategia di lungo periodo per ridisegnare gli equilibri del capitalismo finanziario italiano.
Il disegno Mediobanca–Generali e il ruolo dei big privati
Per capire la portata del caso bisogna guardare alla catena che parte da Siena e arriva fino
a Trieste. Mediobanca è uno snodo cruciale: storicamente banca d’affari, oggi è anche
azionista chiave di Generali. A sua volta, Delfin e Caltagirone sono azionisti pesanti
sia di Mediobanca sia di Generali.
L’operazione con cui Mps ha conquistato Mediobanca ha quindi un effetto a cascata: la banca
senese diventa capogruppo di un polo che somma banca commerciale, investment banking,
wealth management e una partecipazione di rilievo in un colosso assicurativo che detiene
una quota importante di debito pubblico italiano.
È questo intreccio, con Mps a regia pubblica solo fino a pochi mesi fa e ora controllata da
soci privati molto attivi, che ha convinto la Bce a tenere la vicenda sotto osservazione e
che spiega perché l’indagine della procura milanese abbia acceso riflettori non solo giudiziari,
ma anche regolamentari e politici.
Bce e Consob: i custodi dell’equilibrio
Sul fronte della vigilanza europea, la Bce aveva già dato il proprio via libera, nei mesi scorsi,
sia all’operazione Mediobanca sia alla salita sopra il 10% in Mps di Delfin e Caltagirone,
qualificandoli però come semplici “investitori finanziari” e non come soggetti in grado di
esercitare un’influenza dominante sulla gestione della banca.
Ora il quadro è cambiato. Francoforte dovrà valutare se le nuove informazioni emerse
dall’inchiesta siano compatibili con i requisiti di onestà, correttezza e competenza
richiesti a un ceo e ai principali azionisti di un gruppo vigilato. In concreto: l’esito della
verifica può pesare sulla riconferma di Lovaglio alla guida di Mps e sulla libertà di manovra
dei due soci privati in assemblea.
In parallelo, Consob è chiamata a valutare gli aspetti di trasparenza informativa e i
profili di eventuale concertazione tra azionisti rilevanti. Nel dibattito di queste ore circola
anche l’ipotesi, avanzata da alcuni analisti e ripresa da organi di stampa, di una possibile
sospensione dei diritti di voto su quote legate a Generali o, in scenari estremi, della
necessità di una opa obbligatoria sul Leone nel caso venissero accertati livelli di controllo
di fatto superiori a quelli dichiarati. Per ora siamo nel campo delle ipotesi, ma il mercato
ne tiene conto.
La reazione dei mercati: miliardi bruciati in pochi giorni
L’effetto immediato dell’inchiesta è stato la fiammata di volatilità in Borsa. Dal 26 novembre,
il titolo Mps ha subito una serie di sedute in rosso, con una perdita nell’ordine di oltre
3 miliardi di euro di capitalizzazione in pochi giorni, secondo varie stime basate sulle
quotazioni di fine novembre e inizio dicembre.
Anche Mediobanca ha risentito del clima: flessioni intorno all’1%–2% nelle ultime sedute,
capitalizzazione ridimensionata e investitori alle prese con un quadro che, fino a poche
settimane fa, sembrava quello di una grande operazione di integrazione industriale “benedetta”
da mercati e regolatori, e che oggi appare invece zavorrato da incertezze giudiziarie.
A complicare il quadro, la notizia della raccolta dei telefoni dei vertici di Mediobanca ha
aggiunto un ulteriore strato di nervosismo, pur in assenza di iscrizioni a registro nei loro
confronti. Il messaggio percepito dai mercati è chiaro: l’indagine è ampia, potrebbe durare
a lungo e tenere il titolo Mps “sotto sconto” finché non emergerà un quadro più definito.
Il cda di Mps: la linea di Lovaglio e la tenuta del board
L’appuntamento in consiglio è decisivo per misurare la tenuta politica dell’amministratore
delegato. Lovaglio è chiamato a illustrare al board contenuti e perimetro dell’indagine,
spiegare il proprio ruolo nell’operazione Mediobanca e come siano stati gestiti i rapporti con
i soci privati e le autorità di vigilanza.
La presidenza, affidata a Nicola Maione, dovrà poi condurre il consiglio a una presa di
posizione: rinnovare la fiducia piena a Lovaglio, sostenerlo in attesa che la magistratura
faccia il suo corso, oppure aprire scenari alternativi, da una soluzione “ponte” fino alla
ricerca di un nuovo ceo prima del rinnovo del board in primavera.
Sul tavolo non c’è solo la persona di Lovaglio, ma la credibilità del piano industriale che
Mps dovrà presentare alla Bce entro il primo trimestre, con le linee di integrazione con
Mediobanca, le sinergie attese e la nuova configurazione del gruppo sul fronte del capitale,
del rischio e dei ricavi.
La partita della governance: la “lista del cda” e i poteri dei soci
In parallelo al caso giudiziario, a Siena è in corso una complessa partita di governance.
Mps sta lavorando all’introduzione nel proprio statuto della “lista del cda” come strumento
per il rinnovo del consiglio a partire dall’assemblea prevista per la primavera 2026.
L’idea è semplice ma politicamente esplosiva: consentire al board uscente di proporre una
propria lista di candidati, alternativa a quelle eventualmente presentate dai soci privati.
Per Mps significherebbe avere un argine istituzionale nel caso in cui Delfin o Caltagirone
– oggi azionisti rilevanti dopo aver conferito a Siena le loro azioni Mediobanca nell’operazione
di scambio – tentassero di spingere per un controllo più marcato sugli organi di gestione.
La Bce, nel dare il via libera alla salita dei due soci oltre il 10%, li ha classificati come
investitori “puramente finanziari”, senza margini per esercitare un’influenza dominante.
Una “lista del cda” forte e ben costruita andrebbe nella stessa direzione: consolidare l’idea
di una banca guidata da un consiglio relativamente autonomo, pur in un’azionariato sempre
più privato e concentrato.
Il fronte delle casse di previdenza e il caso Inarcassa
Dentro il mosaico della scalata a Mediobanca c’è anche il capitolo delle casse di previdenza,
finite sotto la lente degli inquirenti come possibili tasselli del “concerto” azionario.
Alcune casse avrebbero avuto un ruolo nel rafforzare il fronte favorevole alla scalata
attraverso acquisti di titoli Mediobanca in periodi chiave. Tra gli enti citati nel dibattito
pubblico spicca Inarcassa, la cassa di previdenza di ingegneri e architetti. L’ente ha chiarito
di aver incrementato la propria partecipazione in Generali all’inizio del 2025, precisando
al tempo stesso di non avere posizioni dirette in Mps, Mediobanca o Banca Generali e
di essere oggi presente solo nel capitale del Leone e di Banco Bpm.
Inarcassa ha inoltre avviato dal 1° dicembre 2025 una convenzione con Mps per l’offerta di
servizi finanziari agevolati agli iscritti: un tassello che mostra quanto l’istituto senese resti
un interlocutore chiave per il mondo delle professioni, al di là dell’inchiesta in corso.
Mps, numeri solidi ma ombre pesanti
Paradossalmente, il caso esplode in una fase in cui Mps mostra indicatori patrimoniali
molto robusti. Dopo anni di crisi e salvataggi, la banca è tornata all’utile, ha distribuito
di nuovo dividendi e, alla luce della revisione Srep, rispetta ampiamente i requisiti di capitale
fissati dalla Bce, con un CET1 ratio ben superiore alla soglia minima richiesta.
Il problema, ora, non è la solidità tecnica ma la credibilità complessiva del progetto.
Se l’inchiesta dovesse evolvere in un processo vero e proprio, con contestazioni formali
confermate da un giudice, il rischio è quello di un logoramento lungo anni, nel quale Mps
si troverebbe a gestire in parallelo l’integrazione con Mediobanca e una complessa difesa
giudiziaria dei propri vertici.
Per l’Italia, la posta in gioco va oltre il singolo titolo in Borsa: si tratta del tentativo,
ambizioso ma controverso, di costruire un campione nazionale banca–assicurazioni capace
di giocare alla pari con i grandi gruppi europei. L’esito del cda e le prossime mosse di
Bce, Consob e magistratura diranno se quel disegno è ancora in piedi o se è già entrato
in una fase di irreversibile ripensamento.
Cosa guardare nelle prossime settimane
Nelle prossime settimane i punti chiave saranno almeno cinque:
-
la delibera del cda su Lovaglio: conferma piena, sostegno condizionato o apertura di
un percorso verso il cambiamento ai vertici;
-
le prime mosse della Bce sul fronte dell’idoneità del ceo e del dialogo con Delfin e
Caltagirone;
-
le decisioni di Consob su Mediobanca e Generali, inclusa ogni valutazione su eventuali
concerti di fatto e obblighi di opa;
-
l’andamento del titolo Mps, termometro quotidiano della fiducia degli investitori
nell’operazione di integrazione;
-
il cantiere statutario sulla lista del cda, che determinerà chi avrà davvero in mano la
governance del gruppo nella prossima assemblea.
L’inchiesta, come spesso accade in Italia quando si intrecciano finanza, politica e poteri
forti, promette di durare a lungo. Ma già nelle prossime ore, in una sala del cda a Siena,
si capirà se Mps intende blindare il suo amministratore delegato o se la stagione della
grande scalata a Mediobanca rischia di concludersi con un brusco cambio di copione.