Dopo un anno di altalene tra Cina, dazi e Borsa nervosa, il settore del high-end europeo punta su creatività, consumatori cinesi e cliente locale per tornare a correre.
Il 2025 è stato per il lusso europeo un anno da montagne russe: trimestri in affanno, titoli sotto pressione, consumatori cinesi in frenata e il fantasma dei dazi statunitensi sullo sfondo.
Eppure, mentre l’anno si chiude, nelle sale trading e negli uffici studi si sta facendo strada un’idea: il peggio potrebbe essere alle spalle e il 2026 rischia di essere l’anno del rimbalzo.
Gli analisti stimano per il prossimo anno una crescita delle vendite globali di beni personali di lusso intorno al 5%, con un ruolo chiave giocato dal ritorno degli acquirenti cinesi, da una domanda americana ancora sorprendentemente solida e da un’Europa che, pur più lenta, resta fondamentale grazie al turismo e al cliente locale benestante.
Un 2025 di “detox” per il lusso
Per capire perché il 2026 viene visto come l’anno della ripartenza, bisogna partire da qui: il 2025 è stato definito da più di una banca d’affari come un periodo di “luxury fatigue”, una sorta di stanchezza del consumatore di fascia alta dopo il boom post-pandemia e l’ondata di aumento prezzi degli ultimi anni.
Gli studi sul settore descrivono un mercato che nel 2025 ha sostanzialmente tirato il fiato: crescita piatta o leggermente negativa per i beni personali di lusso, margini sotto pressione, rotazione dei consumi verso viaggi, ristorazione ed esperienze. Il lusso ha smesso di correre, ma non si è schiantato.
Per molti operatori, questo “anno di pulizia” ha rimesso i fondamentali al centro: controllo costi, selezione delle aperture retail, investimenti mirati nel digitale e nell’intelligenza artificiale, attenzione al valore del brand.
In questo contesto, le grandi maison che hanno sofferto meno sono quelle con marchi iconici e difendibili, una clientela ultra-wealthy meno sensibile al ciclo economico e un portafoglio prodotto bilanciato tra pelletteria, gioielleria e orologeria.
Cina: dal freno a mano al nuovo motore
Il vero ago della bilancia resta la Cina. I consumatori cinesi valgono oltre un quarto delle vendite globali di beni di lusso e nel 2025 hanno tirato indietro la mano: calo stimato intorno al 5% degli acquisti complessivi, tra rallentamento economico, settore immobiliare in crisi e clima di maggiore prudenza da parte della middle class urbana.
Per il 2026, però, le previsioni cambiano segno. Gli analisti vedono una ripresa della spesa cinese, con tassi di crescita che tornano in territorio positivo grazie a:
- un graduale miglioramento del sentiment dei consumatori;
- politiche più accomodanti da parte di Pechino su credito e consumi;
- maggiore mobilità internazionale e ritorno del turismo outbound;
- normalizzazione degli stock dopo due anni di correzioni e canali ingolfati.
Le maison meglio posizionate sono quelle con brand già forti sul territorio, una rete retail capillare nelle principali città cinesi e un mix di prodotto in grado di parlare sia al cliente aspirazionale sia al top spender:
Lvmh, Richemont, Hermès, Prada vengono spesso citate come possibili leader della ripartenza asiatica.
Stati Uniti ed Europa: il cliente locale tiene aperte le boutique
Se la Cina è il grande interrogativo, gli Stati Uniti hanno rappresentato nel 2025 una sorta di ancora di stabilità. Il mercato americano vale circa un quarto delle vendite globali del settore e per il 2026 gli analisti si aspettano una crescita intorno al 7%, grazie al contributo dei big spender domestici e all’appeal del made in Europe nei segmenti moda, pelletteria, gioielli e orologi.
In Europa, che pesa per poco meno di un quinto del giro d’affari globale, le attese sono più caute ma comunque positive: si parla di un aumento delle vendite intorno al 6%, trainato dal turismo internazionale che torna su volumi molto vicini ai livelli pre-pandemia e dalla resilienza delle grandi capitali dello shopping – Parigi, Milano, Londra, Madrid, ma anche le grandi città d’arte italiane.
A fare la differenza, qui, è il mix tra:
- cliente locale alto spendente, meno volatile del turista;
- turismo extra-Ue, soprattutto americano, mediorientale e asiatico;
- eventi e fashion week, che spingono sia vendite dirette sia visibilità globale dei marchi;
- politiche fiscali e regolatorie che possono rendere più o meno appetibile lo shopping di lusso (tax free, IVA, dazi).
Titoli del lusso in Borsa: l’anno delle grandi divergenze
Il 2025 è stato un anno complicato sul fronte azionario per il comparto lusso europeo. Il paniere di titoli del settore monitorato dalle grandi banche d’affari ha prima accusato un calo vicino al 10% nella prima metà dell’anno, salvo poi recuperare terreno nei mesi successivi, man mano che le indicazioni sul 2026 diventavano meno cupe.
Sui singoli titoli, però, la fotografia è tutt’altro che uniforme:
- Richemont chiude il 2025 con un balzo in Borsa di circa il 25%, premiata dalla forza della gioielleria e da conti considerati solidi;
- Hermès, pur restando uno dei marchi più desiderati al mondo, segna una correzione di circa il 5,5%, dopo anni di rally quasi ininterrotto;
- Lvmh, il colosso parigino, arretra intorno all’1%, scontando la sensibilità al ciclo cinese e ai dazi, ma resta il benchmark del settore;
- in Italia, Moncler mette a segno un progresso di quasi il 14% da inizio anno, mentre Brunello Cucinelli registra una flessione nell’ordine del 10%, dopo una lunga fase di grande entusiasmo sul titolo.
Gli investitori, in sostanza, hanno iniziato a selezionare: premiano i gruppi che mostrano capacità di difendere i margini, tenuta della domanda nel segmento più alto e disciplina negli investimenti, e penalizzano chi appare più esposto alla volatilità macro o a segmenti più ciclici.
Lvmh, Richemont, Hermès, Prada: chi guida la nuova fase
Guardando dentro i conti delle singole maison, il quadro conferma la narrativa di un settore in rallentamento ma non in crisi. Nel terzo trimestre 2025 Lvmh torna a mostrare una leggera crescita delle vendite, intorno all’1%, dopo tre trimestri difficili: il gruppo parla di segnali incoraggianti dalla Cina e di una buona resilienza del cliente locale in Europa e Stati Uniti.
Nei nove mesi, il fatturato complessivo supera i 58 miliardi di euro, con la divisione Fashion & Leather Goods in calo rispetto all’anno precedente ma in miglioramento rispetto all’inizio del 2025. Il messaggio che arriva da Parigi è chiaro: la priorità resta difendere il desiderio del brand attraverso creatività, prodotti iconici e un’esperienza in boutique sempre più curata.
Richemont, dal canto suo, continua a correre grazie alla gioielleria: vendite in crescita a tassi a una cifra medio-alta, trainate da marchi come Cartier e Van Cleef & Arpels, e una marginalità che resta tra le più elevate del settore. Anche qui il cliente ultra-high-net-worth si conferma meno sensibile agli alti e bassi dell’economia globale.
Hermès prosegue nel suo percorso quasi “contro-ciclico”: il brand mantiene liste d’attesa, capacità produttiva controllata e una politica di prezzi molto disciplinata. Il rallentamento in Borsa nel 2025 riflette più la presa di beneficio degli investitori che un deterioramento drastico del business.
Prada, infine, si gioca il rilancio soprattutto sul terreno creativo e del riposizionamento di alcune linee chiave, con un focus crescente sulla pelletteria e sugli accessori a più alta marginalità, oltre che sulla collaborazione tra il marchio principale e Miu Miu per coprire target d’età e di prezzo diversi.
Creazione, nuovi direttori creativi e “quiet luxury”
Una delle leve su cui il settore punta per riaccendere i consumi è l’ondata di nuovi direttori creativi ai vertici delle maison: cambi di guida stilistica che spesso anticipano una fase di rinnovamento dell’immagine, nuove it-bag, capsule collection a forte impatto mediatico e una ripresa del traffico in boutique.
Al tempo stesso, il 2025 ha codificato in modo definitivo il trend del “quiet luxury”: meno loghi urlati, più materiali preziosi, tagli puliti e un’estetica che parla a chi vuole farsi riconoscere “da chi sa”, ma non dal grande pubblico. Un’evoluzione che si sposa con la maggiore attenzione alla sostenibilità sociale e ambientale, ma che impone alle maison di bilanciare le collezioni iconiche con prodotti più discreti, senza perdere riconoscibilità.
In parallelo, cresce il peso di:
- second hand di alta gamma, con piattaforme certificate e programmi di buy-back direttamente gestiti dai brand;
- personalizzazione e servizi su misura;
- esperienze (eventi privati, viaggi, hospitality legata ai marchi) come parte integrante dell’offerta di lusso.
I numeri dietro l’ottimismo sul 2026
Perché tanti operatori scommettono su un rimbalzo nel 2026? Oltre alla normalizzazione della domanda cinese, ci sono alcuni punti chiave:
- le principali case di investimento indicano per i beni personali di lusso una crescita prevista tra il 3% e il 5% a livello globale;
- gli analisti di settore parlano di ripresa organica delle vendite intorno al 5% per i gruppi meglio posizionati, con Lvmh, Richemont, Hermès e Prada tra i nomi più citati;
- gli studi congiunti sul mercato del lusso evidenziano un 2025 sostanzialmente piatto ma con segnali di stabilizzazione nel secondo semestre;
- la base di confronto più bassa dopo due anni di rallentamento rende statisticamente più facile tornare a crescere, a parità di condizioni macro.
In altre parole, il 2026 potrebbe essere ricordato come l’anno in cui il settore passa dalla fase di “detox” a una nuova stagione di crescita selettiva, meno euforica di quella post-pandemia ma più sostenibile nel medio periodo.
I rischi: dazi, geopolitica e consumatore più esigente
Lo scenario, però, non è privo di nuvole. Tra i principali rischi che analisti e investitori tengono sotto osservazione ci sono:
- dazi e tensioni commerciali, in particolare tra Stati Uniti, Europa e Cina, che possono colpire in modo diretto beni come orologi, pelletteria e moda;
- geopolitica, con i conflitti in corso e l’instabilità in alcune aree chiave per il turismo di alta gamma;
- tassi d’interesse e inflazione, che potrebbero pesare sui bilanci di famiglie e imprese e frenare gli acquisti più aspirazionali;
- crescenti richieste di trasparenza su catene di fornitura, condizioni di lavoro e impatto ambientale, che impongono alle maison investimenti significativi in compliance e tracciabilità;
- la possibilità che la “luxury fatigue” non sia solo un fenomeno passeggero ma il sintomo di un cambio strutturale nel modo in cui le nuove generazioni vivono il consumo.
Proprio per questo, molte case del lusso stanno accelerando su strumenti di analisi dei dati e intelligenza artificiale per leggere in tempo reale le preferenze dei clienti, ottimizzare assortimenti, tagliare stock eccessivi e personalizzare l’offerta.
Cosa aspettarsi: il lusso del dopo-2025
Tirando le somme, il messaggio che arriva dal settore è chiaro: il 2025 ha segnato la fine della corsa facile, ma non l’inizio di un declino strutturale. Il lusso resta un asset potente, ma dovrà essere sempre più:
- selettivo sui mercati su cui puntare e sulle fasce di clientela;
- creativo nel prodotto e nel racconto del brand;
- disciplinato nella gestione finanziaria;
- responsabile su sostenibilità e lavoro, per difendere la propria licenza sociale di operare.
La scommessa per il 2026, insomma, è che a tornare a brillare non sarà solo il prezzo delle borse o delle azioni in Borsa, ma la capacità di tutto il settore di costruire un lusso meno rumoroso e più sostanziale, in cui desiderio, valore e responsabilità vadano finalmente nella stessa direzione.