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Made in Italy da record: l’export agroalimentare vola a 67,5 miliardi nel 2024

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Made in Italy da record: l’export agroalimentare vola a 67,5 miliardi nel 2024

Per la prima volta nella storia, le esportazioni di prodotti agroalimentari italiani hanno toccato quota 67,5 miliardi di euro. È il dato più alto mai registrato, con un incremento di oltre 5 miliardi rispetto al 2023. Il settore, secondo il report presentato da The European House – Ambrosetti (Teha) in vista del Forum di Bormio (6-7 giugno), rappresenta oggi il 10,8% del totale dell’export nazionale. Un risultato costruito grazie a una crescita costante del 6,5% annuo dal 2010 a oggi, con punte anche superiori nel 2024 per alcune categorie merceologiche strategiche. Un successo che si fonda su qualità, tradizione e forte radicamento territoriale, e che conferma il food & beverage italiano come uno degli ambasciatori economici e culturali del Paese nel mondo.

Made in Italy da record: l’export agroalimentare vola a 67,5 miliardi nel 2024

Il prodotto agroalimentare più venduto all’estero resta il vino, con oltre 8 miliardi di euro di fatturato e una crescita del 5,5% nell’ultimo anno. Al secondo posto si collocano pasta e prodotti da forno, che insieme valgono 7,6 miliardi (+8,6%). A sorprendere, però, sono soprattutto gli exploit di alcune nicchie in forte espansione: i grassi e oli vegetali, con un +27,2% rispetto al 2023, hanno raggiunto i 4,1 miliardi di export. Anche il cioccolato ha segnato una performance notevole, con 3,4 miliardi di euro e un incremento del 17,8%. Bene anche latticini (+9,1%, 6,5 miliardi), frutta fresca (+8,3%, 3,9 miliardi) e piatti pronti (+6,2%, 4,1 miliardi). Più contenuta la crescita delle bevande escluse dal vino (+5%, 4,2 miliardi), del cibo per animali (+3,3%, 3,1 miliardi) e della frutta e verdura trasformata (+0,7%, 6 miliardi).

Leadership mondiale in 15 settori strategici
L’Italia è leader globale in 15 categorie merceologiche dell’agroalimentare. Tra queste spiccano i pomodori pelati (76,3% del mercato mondiale), la pasta (48%), gli amari e distillati (34,5%) e i salumi (29,9%). Ottime quote anche per la bresaola (29%), la passata di pomodoro (24,1%), le verdure lavorate (21,9%) e il sidro di mele (9,4%). Sul podio mondiale anche per l’export di castagne (25,2%), vino (20,7%), olio di oliva (17,4%) e caffè (15,8%). Una supremazia costruita su una rete capillare di produzioni certificate, filiere di qualità e capacità di racconto identitario. I prodotti DOP e IGP, in particolare, giocano un ruolo decisivo nella costruzione del valore percepito all’estero.

Gli Stati Uniti crescono, ma resta il rischio dazi

Durante la presentazione del Forum, Valerio De Molli, CEO di Teha (nella foto), ha posto l’accento sul tema della vulnerabilità commerciale del Made in Italy: “L’export agroalimentare negli USA è cresciuto del 17% solo nell’ultimo anno, ma questo ci espone a un potenziale impatto negativo fino al 20% del totale export se i dazi venissero confermati.” Tuttavia, l’analisi evidenzia anche che oltre 6 miliardi dei 7,8 miliardi esportati negli Stati Uniti riguardano prodotti senza alternative equivalenti sul mercato americano. Di conseguenza, il danno stimato reale in caso di nuove imposte si limiterebbe a circa 300 milioni di euro. Tra i prodotti più esposti, oltre al vino, figurano conserve di pomodoro, pasta, farine e salse, tutti beni ad alta identità territoriale e difficile sostituibilità.

Lombardia locomotiva dell’agroalimentare nazionale
La Lombardia si conferma prima regione italiana per fatturato agroalimentare con 50 miliardi di euro (il 19% del totale nazionale), in crescita del 41% rispetto al 2015. Anche nell’export guida la classifica con 10,9 miliardi di vendite all’estero. In questo scenario si inserisce la scelta di Bormio, in Valtellina, come sede del Forum 2025. La provincia di Sondrio rappresenta un’eccellenza nazionale: è l’undicesima provincia italiana per impatto economico del cibo certificato (260 milioni) e la quarta per produzione vinicola, con 3,2 milioni di bottiglie l’anno per un valore di 24 milioni di euro. “Abbiamo scelto Bormio – ha concluso De Molli – per valorizzare una comunità che, puntando su qualità e tradizione, ha costruito un modello vincente per tutta l’Italia”.

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