Addio al 3,5% con un blitz da fondi esteri. Il patto si assottiglia, la sfida tra Nagel e Lovaglio accende il risiko bancario. E ora Delfin sorride.
(Foto: Massimo Doris, amministratore delegato di Banca Mediolanum).
La ritirata silenziosa dei Doris
Nessun proclama, nessuna nota ufficiale. Solo un’operazione chirurgica, rapida e silenziosa: accelerated bookbuilding riservato a investitori istituzionali, e la famiglia Doris ha detto addio a Mediobanca.
La quota detenuta – il 3,5% tra Banca Mediolanum (2,72%) e Mediolanum Vita (0,77%) – è stata ceduta sul mercato ieri nel tardo pomeriggio, quando la Borsa aveva già chiuso i battenti.
A gestire l’operazione è stata Morgan Stanley. Con questa mossa il gruppo fondato da Ennio Doris abbandona non solo la partecipazione azionaria in Mediobanca, ma anche il patto di consultazione, che ora si riduce all’8,1%.
Un’uscita che è un disimpegno strategico in un contesto esplosivo: la guerra bancaria tra Alberto Nagel e Luigi Lovaglio, con le manovre di Delfin e Caltagirone sullo sfondo.
Una fuga per evitare la scelta
Mediolanum si è sfilata prima di dover scegliere tra due strade entrambe scomode. Da un lato, aderire all’offerta pubblica di scambio lanciata da Mps per fondersi con Mediobanca. Dall’altro, sostenere la linea difensiva di Nagel.
Quest’ultimo ha rispolverato l’ipotesi d’acquisto su Banca Generali (già controllata al 13,1%) e rilanciato un nuovo piano industriale al 2028. Una battaglia di strategie, numeri e retorica che ha messo in fibrillazione l’intero patto di Piazzetta Cuccia.
Anche Finprog Italia, la holding della famiglia Doris, è rimasta nel patto solo formalmente con lo 0,96%, ma potrebbe uscire presto.
Il risiko delle poltrone e la mossa di Delfin
Il risiko bancario è entrato in una nuova fase. L’uscita di scena di Sandro Panizza dal Comitato parti correlate ha lasciato spazio a Vittorio Pignatti Morano, vicino all’establishment del cda.
Un segnale che Nagel prova a riprendere il controllo, ma anche una conferma del braccio di ferro interno all’azionariato. Delfin, con il 19,8% di Mediobanca, resta silente ma vigile.
Il gruppo avrebbe accolto l’uscita di Mediolanum come una *“semplificazione della governance”*. La partita si giocherà anche in vista dell’assemblea di settembre, posticipata per guadagnare tempo e consenso.
Mps guadagna fiducia, ma resta lo sconto
Gli investitori iniziano a scommettere. Il titolo Mps ha chiuso in rialzo del +1,52% a 7,2 euro, superando Mediobanca (+0,82% a 19,7 euro).
Tuttavia, il valore offerto da Mps nella sua ops è ancora inferiore del 7,3% rispetto alla capitalizzazione di Mediobanca: 1,2 miliardi di euro di differenziale.
L’offerta è ritenuta *“tecnicamente migliorabile”*, ma potrebbe restare invariata puntando sullo sfaldamento del fronte Nagel e sul crescente consenso verso Lovaglio.
Secondo analisti internazionali, Mps rappresenta *“una delle operazioni più coraggiose della finanza italiana dal 2008”*.
La Consob e la tabella di marcia
Il prossimo passo sarà il via libera della Consob al prospetto informativo, atteso entro il 3 luglio. Seguirà la valutazione del cda di Mediobanca, probabilmente nella settimana successiva.
Se tutto andrà come previsto, la ops di Mps partirà il 14 luglio e si chiuderà entro la fine del mese. Gli investitori esteri osservano con attenzione.
L’operazione viene definita una *“cartina di tornasole per l’Italia bancaria”*, potenzialmente capace di creare un nuovo modello di banca universale competitivo a livello europeo.
Un sistema che si muove, tra equilibri saltati e nuove alleanze
L’uscita di Mediolanum è molto più di una cessione azionaria: è il simbolo del crollo degli equilibri storici del capitalismo italiano.
Piazzetta Cuccia non è più il salotto blindato di un tempo. La sfida tra Nagel e Lovaglio ha già innescato nuovi appetiti, rivalità e visioni.
Chi vincerà? Lo dirà settembre. Intanto, il quadro si chiarisce: Delfin resta centrale, Mediolanum si chiama fuori, i fondi esteri entrano in punta di piedi. Il risiko del potere bancario italiano si ridisegna ancora una volta.