Dall’Italia all’Onu: appelli, accuse e richieste di indagini indipendenti dopo il raid su Nasser.
La notizia è ormai entrata con forza nelle cronache internazionali: nell’attacco israeliano che ha colpito l’ospedale Nasser di Khan Younis sono morti almeno 20 civili e cinque giornalisti; molti altri sono rimasti feriti. È il punto più cupo di una guerra che ha travolto ogni limite di proporzionalità e umanità. Non si tratta soltanto di un dato numerico, ma di un colpo che scuote l’intero sistema dell’informazione mondiale. L’attenzione oggi non è tanto sull’ennesimo bilancio di sangue, quanto sulla valanga di reazioni arrivate in Italia e nel mondo: appelli, condanne, accuse dirette al governo israeliano e richieste di indagini indipendenti.
I fatti e la dinamica del raid
Secondo fonti mediche di Gaza, due colpi hanno centrato il complesso sanitario di Nasser a distanza di pochi minuti, con il tipico schema del cosiddetto “double tap”: colpire una volta e poi di nuovo, sapendo di travolgere soccorritori e presenti. Tra le vittime figurano Hussam al-Masri (Reuters), Mariam Abu Daqqa (collaboratrice AP), Mohammed Salama (Al Jazeera), Moaz Abu Taha e Ahmed Abu Aziz. Ferito gravemente il fotografo Hatem Khaled, anch’egli di Reuters.
L’Idf, l’esercito israeliano, ha ammesso di aver colpito l’area, parlando di “operazione mirata” e annunciando un’inchiesta interna. Ha negato che i giornalisti fossero bersagli intenzionali, ma il riconoscimento stesso di aver colpito un ospedale non attenua la portata della tragedia. Le ricostruzioni e i nomi delle vittime sono stati confermati oggi.
L’Italia: dal governo alla società civile
In Italia il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha dichiarato: “Va garantita la sicurezza dei giornalisti, perché possano svolgere il loro lavoro anche nella Striscia di Gaza”. Ha aggiunto che l’Italia continuerà a difendere la libertà di stampa come principio irrinunciabile. Già nelle settimane scorse aveva definito “inaccettabili” le stragi di civili e aveva invocato un cessate il fuoco immediato.
Sul fronte delle organizzazioni giornalistiche, la Fnsi ha chiesto esplicitamente il coinvolgimento della Corte penale internazionale, ricordando i precedenti del 2024 e del raid dell’11 agosto in cui erano stati uccisi due reporter palestinesi. L’Ordine dei Giornalisti ha parlato di “atto vile e spietato che mira a spegnere le voci da Gaza”, invitando governo e Ue a prendere posizione senza ambiguità.
Dalle opposizioni italiane sono arrivate accuse severe al governo per la mancanza di una linea più netta contro la politica israeliana: in particolare esponenti del Partito Democratico e del Movimento 5 Stelle hanno sottolineato come l’Italia rischi di apparire “silente e complice” se non prenderà iniziative concrete sul piano diplomatico. Le voci si sono moltiplicate anche sui social, rilanciando immagini e testimonianze dalla Striscia.
Europa e Onu: l’appello alla responsabilità
In Europa, l’Alto Rappresentante Josep Borrell è stato sollecitato dal Parlamento a riferire sulle uccisioni ripetute di giornalisti e operatori umanitari. Diverse forze politiche hanno chiesto indagini indipendenti e persino la valutazione di sanzioni contro chi viola il diritto internazionale.
All’Onu, l’UNESCO ha definito l’attacco “inaccettabile” e ha invocato la protezione immediata degli operatori dei media. Il Segretario generale António Guterres ha espresso “sgomento e dolore” per la ripetizione di episodi di questo tipo, sottolineando che “colpire i giornalisti significa colpire la verità”.
Le organizzazioni dei media: il grido “basta impunità”
Reporters Sans Frontières (RSF) ha “condannato con fermezza” l’uccisione dei cronisti a Nasser e ha chiesto la convocazione urgente del Consiglio di Sicurezza Onu. La Federazione internazionale dei giornalisti (IFJ) ha diffuso i nomi dei reporter uccisi e ha ricordato che in meno di due anni di conflitto sono stati eliminati oltre 200 professionisti dell’informazione.
Il Committee to Protect Journalists (CPJ) ha parlato di “mortalità senza precedenti per la categoria”, attribuendo la responsabilità diretta alla mancanza di vie di accesso sicure per la stampa straniera, che costringe i palestinesi a lavorare in condizioni estreme.
Il mondo dei media: cordoglio e rabbia
Le principali agenzie e testate hanno reso pubblici i nomi dei propri collaboratori morti e hanno alzato la voce. Associated Press ha parlato di “giornata nera per l’informazione”. Reuters ha pubblicato un necrologio collettivo ricordando come i suoi fotografi e cronisti continuino a operare in condizioni impossibili. Al Jazeera ha trasmesso in diretta i funerali dei colleghi, denunciando “l’ennesimo tentativo di oscurare Gaza”.
Anche i grandi quotidiani europei hanno preso posizione. Le Monde ha definito la sequenza di attacchi “un modello deliberato”, mentre The Guardian ha ricordato come Israele non abbia mai fornito indagini convincenti sui precedenti casi. Wall Street Journal e Washington Post hanno dedicato editoriali durissimi, sottolineando che “colpire i giornalisti è colpire la democrazia”.
Gerusalemme: la versione ufficiale
L’esercito israeliano ha ammesso di aver colpito l’area dell’ospedale, annunciando un’inchiesta interna. Ma lo schema è noto: dichiarazioni analoghe erano state rilasciate dopo l’uccisione di Shireen Abu Akleh nel 2022 e dopo altri attacchi contro ospedali e tendopoli stampa. Nessuna di queste indagini ha prodotto accertamenti indipendenti né responsabilità giudiziarie. E proprio questo nodo dell’impunità è al centro delle reazioni di oggi.
La linea di frattura morale
Il raid sull’ospedale Nasser non è solo l’ennesimo episodio di guerra: è il simbolo di un punto di non ritorno. Uccidere giornalisti riconoscibili, in un luogo che dovrebbe essere protetto come un ospedale, significa oltrepassare le regole più elementari del diritto internazionale.
Le reazioni dall’Italia, dall’Europa, dall’Onu e dalle organizzazioni per la libertà di stampa convergono su tre richieste precise:
- Cessate il fuoco immediato.
- Protezione effettiva dei giornalisti, anche con corridoi e zone sicure.
- Indagini internazionali indipendenti, con possibili esiti giudiziari.
Senza questi passi, il rischio è che l’informazione a Gaza resti nuda e senza scudi, e che il diritto stesso di sapere – nostro e delle vittime – venga assassinato insieme a chi lo esercita.