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Leadership delle MPI manifatturiere italiane penalizzata dal costo dell’energia elettrica

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Leadership delle MPI manifatturiere italiane penalizzata dal costo dell’energia elettrica

L’Italia è seconda solo alla Germania come economia manifatturiera dell’Unione Europea. Tuttavia, per le micro e piccole imprese (MPI) manifatturiere, questo prestigioso ruolo ha un prezzo altissimo. Secondo Confartigianato, il nostro Paese vanta il più elevato costo dell’energia elettrica tra le principali dieci economie manifatturiere europee nei segmenti di consumo tipici delle MPI.

Leadership delle MPI manifatturiere italiane penalizzata dal costo dell’energia elettrica

Un handicap competitivo che strozza le marginalità, ostacola gli investimenti e accentua le difficoltà per chi già opera in settori sotto pressione, come l’automotive.

Produzione in calo, export sotto effetto-farmaci
Nel primo semestre del 2025 la produzione manifatturiera in Italia registra una contrazione del 2,1 per cento rispetto all’anno precedente, mentre la media UE vede una crescita dell’1,1 per cento. Germania e altri grandi Paesi mostrano anch’essi segnali di debolezza, ma il rallentamento italiano appare più pronunciato: la Germania segna un −2,4 per cento. Tale scenario è aggravato dalla crisi specifica dell’auto, con la produzione italiana di autoveicoli crollata del 17,3 per cento. Le esportazioni manifatturiere crescono su base tendenziale del 2,0 per cento, ma se si escludono i farmaci e i medicinali, il dato diventa negativo (−1,4 per cento), segno che il “motore farmaceutico” sta sostenendo buona parte del sistema.

Energia elettrica, il divario che strozza le piccole imprese
Per le MPI con consumi fino a 2.000 MWh, che costituiscono la fascia più diffusa nel settore manifatturiero artigianale, il costo pagato per il kilowattora (inclusivi accise, oneri, escluse imposte sul valore aggiunto) è pari a 28,00 centesimi di euro. Questo valore è il più alto fra i principali Paesi manifatturieri europei, superando la media UE del 22,5 per cento. Sono più elevati anche rispetto a Germania, Polonia, Francia, Ungheria e altri Stati che competono negli stessi mercati. Il peso delle accise e degli oneri è particolarmente significativo: per queste IMF, l’imposizione fiscale e parafiscale sull’elettricità è più che doppia (+117,4%) rispetto alla media europea.

L’effetto allargato per consumi maggiori
Il divario si attenua nei casi di imprese con consumi maggiori, ma resta marcato. Per imprese con consumi tra 2.000 e 20.000 MWh, il sovrapprezzo rispetto alla media UE è dell’80,3 per cento. Tra 20.000 e 70.000 MWh la differenza scende al 38,2 per cento. Solo tra i grandi consumatori, quelli con consumi tra 70.000–150.000 MWh o oltre, si riscontrano vantaggi relativi: per essi il carico diventa “meno gravoso” rispetto ad altri Paesi europei, a volte addirittura inferiore.

Il nodo dell’automotive e dei dazi internazionali
Nel quadro interno contribuisce in modo pesante la crisi dell’auto: il fortissimo calo della produzione nazionale nel comparto grava sulle MPI che operano nella filiera, non solo per la domanda interna ma anche per le esportazioni. Queste ultime, in particolare, soffrono dei nuovi dazi statunitensi imposti a prodotti del made in Italy. Un costo ulteriore per imprese già costrette a far fronte a costi energetici molto elevati, che riduce la competitività sui mercati esteri.

Conseguenze su competitività e investimenti
Il combinato disposto tra costo dell’energia, calo della produzione manifatturiera e problemi nell’export si traduce nel rallentamento degli investimenti privati. Le MPI, che rappresentano la parte più fragile del tessuto produttivo italiano, hanno scarsa capacità di assorbire shock di costo, specialmente quando questi ricadono su elementi fissi come l’elettricità. Il risultato è una situazione di sofferenza diffusa, con imprese costrette a rinviare innovazioni, manutenzioni, espansioni, e a subire perdite di posizione competitiva rispetto a operatori esteri con condizioni energetiche più favorevoli.

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