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Riccardo Muti, 3116 voci per un’Italia che prova ad ascoltarsi

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Riccardo Muti, 3116 voci per un’Italia che prova ad ascoltarsi

Non è solo una masterclass. Non è nemmeno solo un evento corale. È qualcosa di più profondo, più necessario. Riccardo Muti, da Ravenna, ha messo in scena un’idea dell’Italia che oggi appare distante, quasi dimenticata.

Riccardo Muti, 3116 voci per un’Italia che prova ad ascoltarsi

3116 persone, insieme, riunite sotto un gesto musicale che è diventato anche gesto morale. Cantare, sì. Ma soprattutto ascoltare. E ascoltarsi. In un Paese che sembra aver perso il senso dell’accordo, Muti costruisce con la voce altrui un contrappunto silenzioso alle liti, ai monologhi, all’insofferenza reciproca che attraversa il nostro tempo.

L’Italia invisibile che resiste sottovoce

C’è un’Italia che non si esprime con gli slogan. Che non invade i social. Che non pretende, ma si offre. Muti parla a questa Italia, le dà spazio. Non la inventa, la fa emergere. Ed è questa la vera forza del progetto “Le vie dell’Amicizia”: non tanto l’imponenza dei numeri – tremilacentosedici coristi, tra studenti, dilettanti, professionisti – quanto il suono collettivo di una comunità che per qualche ora sceglie di non urlare, ma di respirare insieme. Nessuna esibizione, nessun trionfalismo. Solo il gesto semplice e raro di stare con gli altri senza voler prevalere.

Una lezione che sfiora la politica

Muti non fa politica, nel senso tradizionale del termine. Ma ciò che accade a Ravenna, sotto la sua direzione, è profondamente politico. In un’Italia in cui le parole sono sempre più armate, lui indica un’altra strada. Senza invettive. Senza giudizi. Semplicemente mostrando cosa accade quando si decide di modulare la propria voce per intonarsi con quella dell’altro. Non è buonismo. È un esercizio di realtà. Di consapevolezza. È l’opposto dell’individualismo muscolare che domina la scena pubblica.

Il coro come educazione alla democrazia

Cantare in coro non è solo un’arte. È una forma di disciplina civile. Non si può essere protagonisti da soli. Bisogna aspettare, seguire, comprendere. Muti lo sa bene, e lo trasmette non con la retorica ma con il gesto. Ogni nota ha bisogno dell’altra per compiersi. Ogni voce ha senso solo nel legame con le altre. In un’Italia frantumata, il coro è una metafora precisa. Siamo più disposti a esibirci che a contribuire. Più inclini al soliloquio che alla polifonia. Ma per vivere insieme non basta convivere: bisogna imparare a sintonizzarsi.

Ravenna come luogo della memoria e dell’unità

Non è un caso che tutto questo avvenga a Ravenna. Città di mosaici, di stratificazioni, di armonie bizantine. Città che non ha bisogno di mettersi in mostra, ma che custodisce. E che oggi diventa capitale invisibile di un’Italia che resiste attraverso la cultura. “Le vie dell’Amicizia”, da anni, partono da qui per raggiungere luoghi feriti dal conflitto. Ma oggi, la ferita più grande è interna. Non è solo geopolitica, è emotiva, sociale. Muti non la cura con proclami, ma con l’accordatura lenta e paziente di un Paese che forse può ancora trovare una voce comune.

La bellezza come forma di responsabilità Alla fine non resta l’eco di un concerto. Resta un’impressione più profonda. Che la bellezza, in certi momenti, non è un lusso ma un dovere. Che fare cultura non significa semplicemente intrattenere, ma indicare. Non una direzione unica, ma un modo di stare al mondo. Con misura, con rispetto, con ascolto. Muti, come sempre, non alza la voce. Ma ciò che fa risuona ben oltre la musica.

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