La riforma sulle Opa accende lo scontro tra Palazzo Chigi, opposizioni, Procura di Milano e Consob, mentre sul Leone si ridisegnano gli equilibri di potere.
(Foto: la sede delle Assicurazioni Generali a Trieste).
La norma che può cambiare il potere su Generali
Il nuovo Testo unico della finanza non è un dossier per tecnici, ma un detonatore politico.
Nel mirino c’è la riscrittura dell’articolo 106 sulle offerte pubbliche di acquisto e, soprattutto,
la definizione di “persone che agiscono di concerto”. Un ritocco che, se approvato così com’è,
potrebbe consentire agli attuali soci forti di Generali di consolidare il controllo fino a
sfiorare il 40% senza dover lanciare un’Opa obbligatoria.
L’esame parlamentare del decreto delegato ha trasformato un tema apparentemente tecnico in un
braccio di ferro sul modello di capitalismo italiano: contendibile o blindato, aperto a nuovi
soggetti o cucito su pochi grandi centri di potere, spesso intrecciati con la politica.
Lo scontro politico: Misiani chiede lo stralcio, il governo tira dritto
Le opposizioni hanno colto subito la portata politica della riforma. Il responsabile economico del
Partito democratico, Antonio Misiani, ha chiesto apertamente di cancellare la norma sul concerto,
sostenendo che così com’è rischia di indebolire l’inchiesta della Procura di Milano sui rapporti tra
Mps, Delfin (la holding lussemburghese della famiglia Del Vecchio) e il gruppo Caltagirone.
L’accusa è netta: una norma che, di fatto, renderebbe più difficile dimostrare un’azione coordinata
nella presa di controllo di Mediobanca e, per riflesso, del Leone.
Dal ministero dell’Economia e da Palazzo Chigi arriva una lettura diametralmente opposta:
la riforma – sostengono – non è costruita su casi specifici, ma serve a modernizzare il mercato
dei capitali, allineando il Tuf alle regole comunitarie e rendendo più attrattiva la piazza italiana
per investitori internazionali.
Nelle aule parlamentari e nei retroscena politici, però, circola una domanda velenosa:
se davvero esiste un concerto tra soci privati, chi ne sarebbe il “direttore d’orchestra”?
Per una parte dell’opposizione, il podio va cercato non nelle sale operazioni delle banche d’affari,
ma nelle stanze del governo. Un’accusa respinta con forza dalla maggioranza, che rivendica la
“neutralità” della riforma rispetto ai singoli dossier societari.
Generali, il blocco oltre il 30% e il sentiero verso il 40%
Per capire perché il nuovo Tuf viene letto come una chiave potenziale per Generali,
bisogna guardare alla mappa azionaria del Leone. In base alle ultime comunicazioni disponibili,
i tre principali soci “forti” sono:
- Mps, tramite Mediobanca, con circa il 13,19% del capitale;
- il gruppo Del Vecchio/Delfin, con poco più del 10%;
- il gruppo Caltagirone, con circa il 6,3%.
Sommando questi pacchetti si arriva a circa il 29,5% del capitale. Ma la percentuale “vera”
in assemblea è più alta, perché Generali possiede azioni proprie pari a circa il 2,95%.
Poiché questi titoli non votano, la base di calcolo effettiva scende al 97,05% del capitale,
con il risultato che la partecipazione congiunta dei tre soci sale di fatto sopra il 30%.
È qui che entra in gioco il nuovo Tuf. Con un blocco già oltre la soglia del 30%, la riforma
consentirebbe – se venisse accertato un concerto tra i tre soggetti – di accrescere la partecipazione
di un ulteriore 10% in dodici mesi senza Opa obbligatoria. In teoria, in un solo anno si potrebbe
salire poco sopra il 40%, assicurandosi un controllo di fatto stabile sull’assemblea, dove
storicamente non si presenta quasi mai il 100% dei soci.
Anche lo scenario, oggi ritenuto molto remoto, di una salita oltre il 50% diventerebbe più rapido:
due anni invece dei quattro necessari con il vecchio limite del 5% annuo. Un cambio di passo che
ridisegna la geometria del potere nel Leone e, più in generale, nelle società quotate italiane con
blocchi di controllo già formati.
Mediobanca e l’opa a cascata: perché non scatta l’obbligo sul Leone
Il ruolo di Mediobanca aggiunge un ulteriore livello di complessità. La quota di Generali
riconducibile a Mps non nasce da acquisti diretti di azioni del Leone sul mercato, ma dall’operazione
che ha portato l’istituto senese a conquistare il controllo di Piazzetta Cuccia.
In casi come questo entra in gioco la disciplina dell’Opa “a cascata”: chi lancia un’offerta su una
società quotata deve verificare se, tramite quella partecipazione, non acquisisca indirettamente anche
il controllo di altre società quotate. Nel caso Mediobanca–Generali, però, la legge prevede un ulteriore
filtro: perché nasca l’obbligo di Opa sulla compagnia assicurativa, la partecipazione in Generali
dovrebbe superare una certa soglia in rapporto agli attivi complessivi di Mediobanca.
Le valutazioni finora rese note indicano che tale soglia non è stata raggiunta, motivo per cui non
si è verificata alcuna Opa obbligatoria su Generali. È la combinazione tra Opa a cascata,
nuova disciplina sugli incrementi e possibile accertamento del concerto che rende il dossier così
delicato agli occhi della Procura di Milano e delle autorità di vigilanza.
Procura di Milano e Consob, indagine a doppio binario
Sullo sfondo della riforma si muove l’inchiesta penale. La Procura di Milano indaga da mesi
sulla costruzione delle partecipazioni in Mediobanca e sul ruolo di Mps, Delfin e del gruppo
Caltagirone. Le ipotesi di reato ruotano attorno a manipolazione del mercato e
ostacolo alla vigilanza, due fattispecie che in passato hanno segnato molte grandi partite del
capitalismo italiano.
Nell’ambito di queste indagini, i pm hanno disposto anche acquisizioni di documenti e dispositivi
elettronici, comprese le utenze telefoniche di figure apicali di Mediobanca, come il presidente
Vittorio Grilli e l’amministratore delegato Alessandro Melzi d’Eril. Non risultano indagati,
ma le comunicazioni potrebbero aiutare a ricostruire la rete di contatti e le dinamiche che hanno
portato alla formazione degli assetti attuali.
Su un piano parallelo si muove la Consob, che in un documento tecnico reso noto nei mesi scorsi
ha sostenuto di non aver ravvisato prove definitive di un “patto occulto” tra i grandi soci sulla
vicenda Mps–Mediobanca–Generali. Una posizione che non chiude il fascicolo penale – i magistrati
agiscono in autonomia – ma che introduce una frizione evidente tra vigilanza di mercato e
magistratura inquirente.
È proprio in questo contesto che il dibattito sulla riforma del Tuf diventa esplosivo: cambiare oggi
le regole sul concerto, mentre l’indagine è in pieno corso, viene letto da una parte politica come un
messaggio implicito agli inquirenti e un possibile assist alle difese, pronte a utilizzare il nuovo
quadro normativo nei futuri contenziosi.
Un test generale sul capitalismo italiano quotato
Il caso Generali–Mediobanca–Mps è diventato molto più di una vicenda societaria: è un test di
sistema sul futuro del capitalismo italiano quotato. Da un lato ci sono quanti sostengono che il Paese
abbia bisogno di regole più chiare, soglie certe e margini di manovra più ampi per le operazioni di
mercato, se vuole competere con le altre piazze europee e attrarre capitali globali.
Dall’altro lato, una parte del mondo politico e finanziario teme che, in un contesto segnato da
forti concentrazioni di potere, l’allentamento delle presunzioni di concerto e l’ampliamento degli
acquisti incrementali senza Opa finiscano per blindare i gruppi esistenti, riducendo la contendibilità
delle società e comprimendo i diritti dei piccoli azionisti.
Il Parlamento è chiamato a scegliere dove collocare l’asticella. Se prevarrà l’impostazione del governo,
il nuovo Tuf potrebbe inaugurare una stagione di operazioni più rapide e meno visibili di rafforzamento
dei blocchi di controllo, con Generali come caso emblematico. Se invece le modifiche saranno limate
o stralciate, il messaggio ai mercati sarà quello di una maggiore cautela a tutela della trasparenza e
della parità di trattamento tra i soci.
In ogni caso, la riforma dell’articolo 106 non resterà una nota a piè di pagina: deciderà quanto sarà
facile, domani, costruire e conservare il potere nelle grandi quotate italiane senza passare dalla
prova di verità di un’offerta pubblica di acquisto aperta a tutti.