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Open Arms - Da Salvini chiamata alle armi in difesa della democrazia: sotto attacco il voto popolare

- di: Redazione
 
Open Arms - Da Salvini chiamata alle armi in difesa della democrazia: sotto attacco il voto popolare
Il processo che vede il vicepremier Matteo Salvini accusato di sequestro di persona, per non avere autorizzato lo sbarco dei migranti soccorsi in mare da Open Arms, rischia seriamente di portare lo scontro tra la maggioranza (seppure con intensità diversa a seconda dei partiti) e la magistratura verso un punto di non ritorno, con la linea di confine che si chiama separazione tra i poteri dello Stato.
La richiesta della procura della repubblica di Palermo - sei anni di reclusione - ha fatto scattare, come scontato, l'immediata reazione di Salvini che, con un video dall'ambientazione lugubre e chiaramente costruita in studio ben prima delle conclusioni dei pm, ha ripetuto che nel processo al quale è sottoposto lo si vuole condannare per avere difeso i confini del Paese.

Open Arms - Da Salvini chiamata alle armi in difesa della democrazia: sotto attacco il voto popolare

Una affermazione che si potrebbe sposare senza nessun problema, se non si sapesse che, nel periodo storico in cui Salvini decise di non offrire un porto sicuro alla nave dell'ong spagnola, egli stava conducendo una battaglia politica incentrata sul problema dell'immigrazione clandestina, un tema che ha sempre considerato cruciale per conquistare consenso. Certo, c'erano anche motivazioni generali, di politica nazionale, ma non ci si può dimenticare di quel che diceva e faceva Salvini all'epoca, rivendicando alla Lega la battaglia anti-immigrati, visti come un pericolo per la società civile.
Ma questo, pur se può apparire assurdo, passa in secondo piano rispetto alla reazione che la coalizione di governo ha avuto davanti alla richiesta dei pubblici ministeri, incentrata essenzialmente sul fatto che la difesa della vita umana (quella dei migranti) da valore universale viene sempre prima rispetto all'interesse dello Stato.
Una posizione che si può condividere o meno, fermo restando che la percezione maggioritaria nel Paese è quella dei problemi di sicurezza legati all'immigrazione irregolare e non, magari, quella di riconoscere che allo nostra economia sono fondamentali coloro che vengono dall'estero nel rispetto delle leggi e cercando un lavoro onesto.

L'errore in cui, lo diciamo col rispetto dovuto alle prerogative della classe politica eletta o di governo, non si deve incorrere è quello di fare della linea della procura palermitana il paradigma del teorema secondo cui la maggioranza è perennemente sotto attacco da parte della magistratura.
Le parole usate contro i pm di Palermo sono state durissime, poco guardando al contenuto, in fatto e in diritto, della loro requisitoria, che può avere avuto mille difetti, ma che si deve contestare appunto in fatto e in diritto, evitando di cadere in una deriva di persecuzione, cui s'è fatto riferimento.

Quando un potere dello Stato si scaglia contro un altro non è il pericolo il dialogo tra di essi, ma le fondamenta stesse della Repubblica, perché, verrebbe da chiosare, dalle accuse in tribunale ci si difende in aula, non chiamando alla mobilitazione, come ha già fatto Salvini, quasi a volere precostituire un clima incandescente quando ancora la sentenza è lontana.
Il nostro, comunque, potrebbe essere un punto di vista come un altro, ma c'è inquietudine a leggere che per oggi Salvini ha convocato il vertice del suo partito con un solo punto all'ordine del giorno (e mai parole furono più chiare): ''Iniziative della Lega per difendere la Democrazia, il voto popolare e la sicurezza dei cittadini messi a rischio da una sinistra anti-italiana che usa i tribunali per le sue vendette politiche''.
Parole di una durezza inusitata in cui Salvini mostra le sue certezze e non sapremmo dire, in una scala di valori, quale sia la più importante.

Di certo, chiamando alla mobilitazione i leghisti, quando il processo è ancora lontano dal definirsi con una sentenza, Salvini mette in dubbio non solo l'operato dei pm (che, a suo dire, sono in combutta con la sinistra, orchestrando procedimenti privi di una base oggettiva su cui costruire una indagine), ma anche la correttezza del collegio giudicante, che dovrà fare appello a tutta la sua esperienza, per garantire la sua terzietà da qualsiasi giudizio.

Se il commento del presidente del Senato, Ignazio La Russa, è squisitamente politico (''Ho fiducia piena nella giustizia, ma penso che spesso la pubblica accusa, in processi come questo, fa prevalere la tesi che vuole affidare al pm il compito di interpretazione estensiva delle norme''), meno prudente è quello del sottosegretario Delmastro, che ha detto di avere avvertito nel processo qualcosa di simile al clima che si respirava nell'Urss.

E qui occorre tornare al ragionamento che dovrebbe presiedere al comportamento dei nostri politici, che talvolta dimenticano il ruolo al quale sono stati chiamati per agire da uomini di partito. Lo stesso Delmastro non è un sottosegretario ''qualunque'', ma alla Giustizia. Lo stesso dicastero che, per definizione, si occupa di giudici e tribunali, di imputati, condannati e innocenti.
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