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Governo: un Papeete è per sempre

- di: Diego Minuti
 
Governo: un Papeete è per sempre
Nemmeno un paio di giorni e Giorgia Meloni sta prendendo consapevolezza che il ruolo di presidente del Consiglio, pure se dà tanto onore e potere, è anche, per dirla chiaramente, una prova di come sappia controllare i nervi. Che rischiano di saltare perché i suoi strani compagni di viaggio sembrano fare di tutto per renderle la vita difficile. Non è che ci volesse un veggente per capire che un conto è fare un governo, un altro è mandarlo avanti. Ma quanto è accaduto nelle poche ore che separano dal varo del governo segnala che i buoni propositi, la certezza nella solidità della coalizione, la speranza di potere mettersi subito e proficuamente al lavoro sono cose molto difficili da ottenere. E non parliamo della guerra tra bande che si è scatenata in Forza Italia, ormai ridotta al simulacro d un partito, il cui solo obiettivo è quello di ottenere un gruzzolo di sottosegretari per compattare le sue riottose file.

Governo: un Papeete è per sempre

In un esecutivo la cosa che deve essere sempre salvaguardata è il rispetto dei ruoli, che è alla base del lavoro comune, avendo ciascuno un compito da onorare alla luce delle competenze che gli sono state attribuite.
Con una variabile sostanziale: chi ha avuto queste idee di buonsenso non ha calcolato la ''variabile Salvini'' che, in psichiatria, potrebbe essere definita come una sindrome che spinge qualcuno a seguire le proprie idee e i propri istinti a dispetto di quanto deciso e convenuto con gli altri.

Non è una esagerazione, ma solo una presa d'atto che Matteo Salvini intende il suo ruolo sottoponendolo ad una duplice chiave di lettura: quello che pensano gli altri e quello che pensa lui che, per (sua) definizione, è sempre la cosa più giusta. Da quando, delineandosi la vittoria elettorale con il trionfo di Giorgia Meloni, ha smesso di pensare alla carica di presidente del consiglio virando verso un ritorno al Ministero dell'Interno, Salvini non ha mai avuto il dubbio che quello fosse il suo incarico, la sua aspirazione, la sua personalissima crociata.
E quindi il fatto che Meloni abbia disinnescato la sua voglia spasmodica di tornare al Viminale ha spostato di pochissimo la convinzione del segretario leghista che l'Italia intera gli abbia conferito il supremo compito di difensore dei confini (sempre che sia veramente chiaro questo cosa significhi). E poco importa se il suo dicastero, quello delle Infrastrutture, con i problemi della sicurezza abbia poco da spartite. Poteva anche essere nominato ministro alle Merende o alla Tutela dell'ocarina, ma per lui il solo obiettivo era quello di tornare a cavalcare il problema dell'immigrazione. Che può essere affrontato in modo molto diverso, e questo la Giorgia Meloni dialogante che si è proposta all'Europa non lo può consentire solo per tenere buono l'irrequieto alleato.

Cosa passi per la testa del leader della Lega sembra abbastanza chiaro: per tornare a ottenere i consensi di appena qualche anno fa occorre alzare l'attenzione sugli immigrati, che per lui non sono un problema, ma ''il problema''. Insomma ciò che animò l'improvvida sortita al Papeete, quella dei pieni poteri, sembra non essere mai passato. E questo sì che è un problema per Giorgia Meloni. E che non si tratti di una analisi lo confermano le parole che Matteo Salini ha pronunciato solo poche ore fa, dicendo che ''non è pensabile che le navi di tutto il mondo agiscano in tutto il mondo e poi arrivino unicamente in Italia. Onori ed oneri vanno condivisi e suddivisi, per questo torneremo ad essere un Paese che fa a far rispettare i confini (...) .Torneremo a parlare di ricollocamenti''. E quindi la chiosa chiarificatrice: ''Il ministero delle Infrastrutture si occupa di terre e mare. Il ministero del Mare toglierà i porti alle Infrastrutture? Assolutamente no''.
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