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Landau attacca l’Ue e i giuristi del diritto in fuga da Rubio

- di: Bruno Legni
 
Landau attacca l’Ue e i giuristi del diritto in fuga da Rubio

Dal “suicidio di civiltà” contro Bruxelles alla fuga dall’ufficio legale del Dipartimento di Stato: la diplomazia trumpiana alza i toni e si indebolisce proprio dove dovrebbe essere più solida, sul terreno del diritto internazionale.

(Foto: Marco Rubio, Segretario di Stato Usa).

Christopher Landau non si è limitato a una battuta infelice. Il vice di Marco Rubio alla guida del Dipartimento di Stato ha trasformato la sua ultima sortita in Europa in un vero atto d’accusa contro l’Unione europea, accusata di portare avanti politiche di “suicidio di civiltà”. Un lessico da talk show estremista, non da numero due della diplomazia della superpotenza mondiale.

Mentre Landau attacca Bruxelles, a Washington un altro fronte si apre alle spalle dell’amministrazione: la fuga dei giuristi dall’ufficio incaricato di vigilare sul rispetto del diritto internazionale, proprio nel momento in cui infuriano le polemiche sugli attacchi alle barche dei narcotrafficanti nel Mar dei Caraibi e nel Pacifico, accusati da molti osservatori di sfiorare – o superare – la soglia dei crimini di guerra.

Il vice di Rubio che agita lo spettro del “suicidio di civiltà”

Landau è un diplomatico di lungo corso, ex ambasciatore in Messico, oggi vice segretario di Stato e braccio operativo del segretario Marco Rubio. Proprio per questo il suo sfogo conta più di un semplice post sui social. Tornato da una riunione dei ministri degli Esteri della Nato a Bruxelles, invece di rassicurare gli alleati, ha scelto di attaccarli.

In un lungo thread su X ha contrapposto i governi europei che siedono nella Nato a quelli che, con lo stesso “cappello” Ue, appoggiano a Bruxelles politiche che a suo dire minerebbero la sicurezza degli Stati Uniti: regolazione delle piattaforme digitali definita “censura”, transizione verde bollata come “suicidio economico”, politiche migratorie etichettate come “frontiere aperte”. Nel mirino, ancora una volta, la burocrazia europea non eletta, descritta come un potere ostile e antidemocratico.

Il salto di qualità è nel linguaggio. Landau non si limita a criticare singole scelte europee: parla di un’Europa avviata verso una sorta di auto-demolizione, evocando lo spettro del declino irreversibile della “civiltà occidentale” per colpa di Bruxelles. Un terreno retorico che flirta pericolosamente con le narrazioni complottistiche sul “grande rimpiazzo” tanto care all’estrema destra, più che con il vocabolario della diplomazia tradizionale.

Da parte europea, le reazioni sono state immediate ma misurate. I governi del Vecchio Continente sanno che oggi la Casa Bianca e il Dipartimento di Stato parlano sempre più spesso alla propria base interna, più che agli alleati. E così, mentre i ministri degli Esteri esprimono irritazione e preoccupazione, i vertici europei provano a raffreddare i toni. Un messaggio in filigrana: “Possiamo discutere di regole digitali, difesa e migrazioni, ma non accettiamo che Washington metta in discussione la nostra legittimità democratica”, è il sottotesto che arriva dalle capitali Ue.

La dottrina Rubio: Nato sì, ma solo se l’Europa paga e obbedisce

Le parole di Landau non sono un incidente isolato, ma il prolungamento della linea Rubio. Il segretario di Stato, tornato al centro della politica estera dopo il rientro di Donald Trump alla Casa Bianca, da mesi ripete lo stesso mantra: Nato sì, ma a condizioni americane.

In primavera Rubio ha ribadito che Washington resta formalmente impegnata nella difesa collettiva, ma solo se gli europei si caricano sulle spalle molto di più. Il messaggio, ripetuto nei vertici internazionali, è brutale: alzare la spesa militare ben oltre il 2% del Pil, fino alla soglia surreale del 5%, e assumersi l’onere quasi totale della difesa convenzionale del continente. La logica è chiara: liberare mezzi e attenzione americani per altre aree strategiche, dall’Indo-Pacifico al Medio Oriente.

In questo contesto, il j’accuse di Landau contro l’Unione europea funziona da grimaldello ideologico: se Bruxelles è dipinta come un apparato ostile, allora diventa più facile giustificare davanti all’opinione pubblica americana una progressiva disarticolazione del legame transatlantico e una Nato sempre più a geometria variabile.

Fuga dall’ufficio legale: quando i giuristi scendono dalla nave

Mentre Landau attacca Bruxelles, a Washington succede qualcosa di molto meno rumoroso ma infinitamente più grave: l’ufficio legale del Dipartimento di Stato perde pezzi. Secondo ricostruzioni di stampa, dall’inizio dell’anno una sessantina di membri dello staff avrebbero lasciato la divisione che sovrintende al rispetto del diritto internazionale da parte dell’amministrazione. Un ufficio che normalmente conta tra i 200 e i 300 addetti.

Non si tratta di una struttura qualsiasi: è il cuore tecnico che deve dire se una guerra, una sanzione, un’operazione speciale, un attacco “chirurgico” rispettano o meno trattati, convenzioni, risoluzioni dell’Onu. Quando lì iniziano le dimissioni in massa, il segnale è inequivocabile: qualcosa, sul piano legale e morale, non torna più.

Alcuni giuristi – in pubblico e in forma riservata – hanno fatto capire di non voler fare da foglia di fico a una linea politica che percepiscono come sempre più disinvolta rispetto ai vincoli del diritto internazionale. Altri parlano di un clima avvelenato, in cui la pressione politica prevale sull’analisi tecnica e chi solleva dubbi viene trattato come un ostacolo da aggirare, non come una bussola di cui fidarsi.

Le bombe sulle barche della droga e il sospetto di crimini di guerra

La tempistica della fuga dai ranghi legali non è casuale. Arriva mentre l’amministrazione Trump-Rubio porta avanti una campagna di attacchi aerei e navali contro imbarcazioni sospettate di traffico di droga nel Mar dei Caraibi e nel Pacifico. Una vera guerra alle barche, condotta con droni e assetti militari, che ha già provocato decine di vittime.

Secondo ricostruzioni di stampa e comunicati ufficiali, sono oltre una ventina i raid condotti in pochi mesi, con un bilancio complessivo di almeno ottanta morti. Particolarmente controverso un attacco di inizio settembre, in cui un’imbarcazione è stata colpita due volte: la seconda volta, secondo le denunce, quando ormai i sopravvissuti erano in acqua e non costituivano più una minaccia militare.

In Congresso è partita un’inchiesta formale. Alcuni parlamentari – repubblicani compresi – hanno parlato apertamente di possibile violazione delle leggi di guerra. Giuristi di diritto umanitario ricordano che chi è ferito, naufrago o comunque fuori combattimento è protetto dalle convenzioni internazionali e non può essere preso di mira deliberatamente.

Anche le istituzioni internazionali hanno acceso un faro. L’Alto Commissario Onu per i diritti umani ha denunciato che gli attacchi alle imbarcazioni nel Caribe e nel Pacifico violano il diritto internazionale dei diritti umani, contestando la pretesa di applicare in modo estensivo il quadro della “guerra al terrorismo” alla lotta al narcotraffico.

Come se non bastasse, alcuni alleati europei hanno preso le distanze. Un ministro degli Esteri del G7 ha accusato apertamente Washington di “disprezzare il diritto internazionale” e, in un recente incontro, i colleghi hanno incalzato Rubio chiedendo spiegazioni sulla catena di comando e sulle regole d’ingaggio. Una scena mai vista, con gli alleati storici costretti a interrogare la diplomazia americana come se fosse un imputato, non un partner.

Diplomazia ideologica e rischio di isolamento

Messi in fila, gli elementi compongono un quadro chiaro: un’amministrazione che alza il volume dell’ideologia e abbassa la soglia dell’attenzione per il diritto. Da un lato Landau che bolla Bruxelles come minaccia esistenziale alla civiltà occidentale, dall’altro l’ufficio legale del Dipartimento di Stato che si svuota proprio mentre la Casa Bianca moltiplica le operazioni militari “ai limiti” nei mari del continente americano.

La scelta di colpire frontalmente l’Unione europea arriva anche sullo sfondo di uno scontro sempre più aperto sulle regole digitali. Bruxelles ha inflitto una multa record alla piattaforma X di Elon Musk, accusata di pratiche ingannevoli e violazioni delle norme sulla trasparenza. La risposta della galassia trumpiana è stata quella di dipingere la Ue come regime censorio, nemico della libertà di espressione e alleato delle élite globaliste.

In questo clima, la sortita di Landau non è una scivolata, ma una pistola fumante: mostra come il Dipartimento di Stato, invece di tenere il punto dell’equilibrio, si sia trasformato nel megafono istituzionale della guerra culturale lanciata dalla Casa Bianca contro Bruxelles. Il rischio è duplice. Sul breve periodo, logorare ulteriormente la fiducia reciproca tra le due sponde dell’Atlantico. Sul medio periodo, spingere l’Europa a cercare nuove forme di autonomia strategica, non più come opzione di lungo periodo ma come misura di autodifesa.

Intanto, dentro il Dipartimento, la fuga dei giuristi è un voto di sfiducia silenzioso. I tecnici del diritto non parlano per slogan, non scrivono thread infuocati. Lasciano gli incarichi quando capiscono che la politica non vuole più limiti, ma solo bollini di legittimità formale per operazioni decise altrove.

Una civiltà non si difende calpestando le sue regole

Landau ama evocare la “civiltà occidentale” da proteggere. Ma una civiltà non si difende insultando i partner democratici e ignorando i propri avvocati. La si difende rispettando le regole che l’hanno resa credibile nel mondo: stato di diritto, limiti al potere esecutivo, tutela dei civili nei conflitti, equilibrio tra sicurezza e libertà.

Quando il vice di Rubio parla di “suicidio di civiltà” a proposito dell’Unione europea, rovescia la realtà: il suicidio vero è smantellare, dall’interno, le garanzie giuridiche e le alleanze che hanno mantenuto insieme l’Occidente per decenni. E la fuga dall’ufficio legale del Dipartimento di Stato è lì a ricordare che non è Bruxelles a tradire quei principi, ma una parte dell’establishment americano che li tratta come ostacolo, non come fondamento.

La domanda, a questo punto, è semplice e brutale: per quanto tempo ancora gli alleati europei accetteranno di farsi insultare a colpi di tweet mentre guardano gli avvocati di Washington scendere dalla nave? Se la risposta dovesse essere “non molto”, Landau e Rubio avranno scoperto troppo tardi che a suicidarsi non è l’Europa, ma la credibilità internazionale degli Stati Uniti.

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