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Meloni accelera: il voto la espone a rischi, nuova legge elettorale

- di: Vittorio Massi
 
Meloni accelera: il voto la espone a rischi, nuova legge elettorale
Meloni accelera: il voto la espone e la legge elettorale va riscritta
Dopo Campania e Puglia al campo largo e la Lega davanti a FdI in Veneto, Palazzo Chigi apre il dossier: con il Rosatellum la stabilità non è più garantita.

Le regionali di fine novembre hanno acceso una spia rossa sulla dashboard della maggioranza. Il centrodestra vince solo in Veneto, mentre in Campania e Puglia il campo largo conquista risultati larghissimi, dimostrando che con l’attuale Rosatellum e con un’opposizione unita, la partita delle politiche 2027 può rovesciarsi. È questo il motivo per cui, già nelle ore successive allo spoglio, nel governo parte la frenata brusca: serve una nuova legge elettorale.

Il primo a dirlo apertamente è Giovanni Donzelli, che avverte: “Con i risultati di oggi la stabilità che abbiamo non sarebbe più garantita”. Una frase che pesa come una diagnosi clinica. Non è solo una lettura politica: è la constatazione che il meccanismo maggioritario, cuore del Rosatellum, potrebbe regalare al fronte progressista ciò che nel 2022 ha consegnato a Meloni.

Per Fdi scossone egionali: il campo largo dilaga al Sud, la Lega surclassa FdI al Nord

In Campania Roberto Fico vola attorno al 60%, lasciando il candidato del centrodestra Edmondo Cirielli a distanza siderale. In Puglia Antonio Decaro supera anche questa soglia, trasformando la sfida in una prova di forza nazionale. Due vittorie nette, identiche nella loro geometria: liste unite, candidati riconoscibili, alleanze disciplinate nei collegi.

Il contrappunto arriva dal Veneto, dove Alberto Stefani vince con ampio margine. Ma il dato politico è un altro: la Lega torna primo partito con numeri vicini al 36%, quasi il doppio di Fratelli d’Italia, che resta intorno al 19%. È la rivincita della tradizione nordista, del radicamento di Luca Zaia, del voto d’opinione che nel 2022 premiava Meloni e oggi si ricompatta attorno al Carroccio.

Sullo sfondo, un malessere che non risparmia nessuno: l’affluenza crolla, in alcune province scendendo sotto il 45%. Un dato che rende ancora più scivoloso qualsiasi tentativo di riscrivere le regole del gioco.

Donzelli rompe gli argini: “Senza riforma salta la stabilità”

La linea che circola dietro le quinte diventa pubblica quando Donzelli afferma che serve un sistema elettorale “che garantisca stabilità”. L’esponente di FdI usa parole misurate, ma il messaggio è trasparente: il governo teme di non reggere un voto politico con l’attuale legge se le opposizioni restano unite.

Non basta più il premierato — fermo in Parlamento — per blindare la tenuta dell’esecutivo. Serve intervenire sul cuore del sistema. Ciò che nel 2022 era un vantaggio ora diventa un rischio: se gli sfidanti si presentano compatti, ogni collegio può diventare una trappola.

Nei corridoi si ragiona su una “riforma di equilibrio”: meno peso ai collegi uninominali, più proporzionale, premio alla coalizione ma calcolato in modo diverso. Una sorta di modulo a due punte: rappresentatività e governabilità. Un compromesso che, per alcuni, serve a non arrivare al voto con l’acqua alla gola.

Tajani apre al proporzionale “corretto”: più peso ai territori

Antonio Tajani spinge su un sistema proporzionale con preferenze: “È ora di valorizzare i territori”, spiega, immaginando un modello simile a quello delle elezioni regionali e comunali, con un premio che assicuri una maggioranza chiara. Per gli azzurri, è il modo migliore per aggregare i moderati e tenere insieme il centrodestra senza costringerlo in un meccanismo che, oggi, appare pericoloso per gli equilibri interni.

La proposta trova sponde anche all’opposizione, dove alcune forze vedono nel proporzionale la strada per uscire dalla competizione muscolare tra blocchi. Altre, però, vogliono evitare che ogni riforma diventi un modo per cucire un vestito di potere sull’esecutivo. Per ora, forti delle vittorie al Sud, invitano a non cambiare nulla.

La Lega rialza la testa e complica i piani di FdI

In questo quadro si innesta un altro elemento imprevisto: il sorpasso della Lega su Fratelli d’Italia in Veneto. Salvini ha finalmente un argomento da spendere: “Vince la squadra”, ripete, ma la mappa parla da sola. Nei prossimi giorni il conteggio delle preferenze di Zaia potrebbe rendere ancora più evidente un fenomeno: FdI non è più dominante ovunque.

Una nuova legge elettorale, dunque, potrebbe ridisegnare anche i rapporti interni alla coalizione. Un sistema più proporzionale darebbe più peso ai partiti; uno più maggioritario, più potere alle coalizioni. Due strade che oggi non portano agli stessi vincitori.

Verso il 2027: il cantiere più delicato della legislatura

Le regionali funzionano come un midterm anticipato. Palazzo Chigi capisce di non essere più in acque calme e apre il dossier riforme; il campo largo scopre che, se unito, può davvero giocarsela. Ma sulla scena resta un grande assente: la fiducia dell’elettorato, sempre più basso e disincantato.

Il timore, tra analisti e costituzionalisti, è che inizi un braccio di ferro sulle regole pensato per l’immediato, e non per la stabilità futura. Ma proprio i risultati delle regionali suggerirebbero l’opposto: serve un sistema stabile, comprensibile, duraturo. Altrimenti la politica continuerà a costruire architetture istituzionali per poi distruggerle ogni cinque anni.

Per Giorgia Meloni è un bivio: spingere su una riforma di maggioranza — rischiando l’accusa di voler modellare il sistema per restare al governo — oppure cercare una convergenza più ampia, che restituisca credibilità alle istituzioni. La notte elettorale non ha chiuso nulla: ha solo aperto la partita più sensibile della legislatura.

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