La cinquina del Premio Strega 2025 è stata annunciata, e come ogni anno il verdetto accende l’attenzione non solo del mondo letterario, ma di una parte più larga del pubblico che, almeno una volta, si ferma a domandarsi cosa sia oggi la narrativa italiana.
Premio Strega 2025, annunciati i finalisti: i cinque romanzi che parlano al presente
I finalisti sono Andrea Bajani con La vita degli altri, Nadia Terranova con Il tempo delle madri, Elisabetta Rasy con La stanza di Natalia, Paolo Nori con Dove sono le parole e Michele Ruol con Quello che resta dell’aria.
Cinque voci diverse, ma tutte attraversate da un’urgenza comune: interrogare il presente attraverso l’intimità, la storia, la perdita, la memoria. Un premio che, in questa edizione, sembra raccontare una letteratura meno gridata e più profonda, capace di affrontare il trauma senza estetizzarlo, e il quotidiano senza impoverirlo.
Ritorni e conferme
Andrea Bajani è uno degli autori più raffinati della sua generazione. Con La vita degli altri, edito da Feltrinelli, firma un romanzo denso che intreccia vite parallele, evocando la fragilità dei legami umani e l’ossessione per ciò che sfugge. Bajani, già finalista in passato, torna in corsa con un libro che sembra cucito per il clima di questo Strega: malinconico ma mai arrendevole, consapevole della crisi ma ancora fiducioso nella parola letteraria.
Nadia Terranova, candidata con Il tempo delle madri (Einaudi), conferma il suo posto centrale nel nuovo canone femminile italiano. Dopo il successo di Addio fantasmi, torna a scavare nei rapporti familiari, questa volta con uno sguardo che fonde maternità, storia e trasmissione intergenerazionale. La sua è una scrittura lucida e emotiva, capace di parlare a una vasta comunità di lettrici e lettori.
La forza della memoria femminile
Colpisce, nella cinquina, la presenza di Elisabetta Rasy con La stanza di Natalia (Mondadori), un romanzo che attraversa la vita e l’opera di Natalia Ginzburg per raccontare una storia di formazione intellettuale e politica. Non è una biografia romanzata, ma una rielaborazione letteraria che pone domande sullo scrivere, sull’essere donne nella cultura, sulla tenacia della voce contro il silenzio.
Il romanzo di Rasy è anche un gesto politico: portare nel cuore del premio letterario italiano la figura di una donna che ha dato al Novecento una lingua onesta, irriverente, intima. E al tempo stesso, riproporre l’idea che la letteratura sia ancora, come scriveva Ginzburg, “un lavoro da fare con le mani”.
L’autofiction che si interroga
Paolo Nori, autore di Dove sono le parole (Marcos y Marcos), entra nella cinquina con un libro che è quasi un saggio narrativo, una lunga riflessione sulla lingua, sul dolore e sulla perdita. Nori, da sempre autore trasversale, miscela diario e invenzione in un’opera che sfida i confini del romanzo tradizionale. In un panorama dove l’autofiction spesso diventa scorciatoia, Nori ne mostra invece tutta la potenza: non tanto raccontare sé stessi, quanto il modo in cui la vita ci attraversa e ci fa riscrivere ciò che eravamo.
Il debutto che sorprende
Infine Michele Ruol, con Quello che resta dell’aria (minimum fax), rappresenta la sorpresa dell’edizione. Romanzo d’esordio, costruito con sapienza stilistica e una voce narrativa asciutta, il libro si muove tra i luoghi della provincia italiana e i silenzi che separano i padri dai figli, le colpe dai ricordi. Ruol è il volto nuovo di questa cinquina, e il suo ingresso dimostra che il Premio Strega, pur segnato spesso da dinamiche editoriali consolidate, riesce ancora a dare spazio all’inedito.
Un premio che si ripensa
Il Premio Strega 2025, con questa selezione, sembra voler restituire centralità alla scrittura come atto di scavo, di ascolto, di responsabilità. Meno mondanità, più sostanza. Meno letteratura spettacolare, più linguaggi interiori. È una cinquina che parla di intimità, ma non si chiude nel privato; che affronta il passato, ma per chiedere conto al presente.
Chi vincerà, lo sapremo il 4 luglio. Ma intanto, questa cinquina conferma che la narrativa italiana non ha smesso di interrogarsi, né di provare a capire.